31.05.2013 Views

L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

172 T.H. Barret<br />

di insegnamenti che pretendevano di rappresentare la parola del Bud dha. In alcuni<br />

di essi si asseriva non solo che non c’era un Io, ma anche che tutti i fenomeni naturali<br />

erano privi di esistenza reale. Tutto era k’ung, ovvero vuoto. I seguaci di questa<br />

dottrina si attribuivano il nome di Mahayana, il «grande veicolo» (per giungere<br />

alla salvezza del nirva na) e chiamavano Hinayana, «piccolo veicolo», il buddhismo<br />

preceden te, che si preoccupava eccessivamente delle piccole analisi degli elemen ti<br />

che componevano l’Io nozionale (e illusorio). Inoltre, i seguaci del Ma hayana ritenevano<br />

che diventare un arhat, ossia raggiungere il nirvana seguendo gli insegnamenti<br />

del Buddha, era una meta egoistica rispetto a quella di diventare bodhisattva,<br />

ossia un essere di statura spirituale molto progredita, che rimandava la propria<br />

illuminazione per aiutare al tre persone lungo il cammino.<br />

Tutto il dharma, gli insegnamenti, trovò espressione scritta in un ele vato numero<br />

di scritture. Prima che sorgesse il Mahayana, vari gruppi buddhisti si trasmettevano<br />

un canone diviso in tre sezioni (il Tripita ka): i sutra (discorsi del Buddha),<br />

i vinaya (regole conventuali) e gli ab hidharma (trattati scolastici). Le idee Mahayana<br />

vennero trasmesse in nuovi sutra attribuiti al Buddha, e con il tempo comparvero<br />

anche com mentari e trattati Mahayana. Traduzioni in cinese di testi sia Mahaya na<br />

sia Hinayana cominciarono a diffondersi nel secolo II d. C. Anche se non ci sono<br />

prove che queste traduzioni esercitassero un’influenza sullo sviluppo <strong>della</strong> religione<br />

cinese, la rilevanza che in esse veniva ad assumere la descrizione di tecniche di<br />

meditazione suggerisce l’ipotesi che fossero tradotte principalmente a beneficio<br />

dei cinesi che praticava no tali tecniche.<br />

Con il secolo IV d. C., nella <strong>Cina</strong> sia del Nord sia del Sud fu dispo nibile un<br />

più elevato numero di sutra e i cinesi cominciarono a compren dere la vastità <strong>della</strong><br />

letteratura buddhista. Anche le élite cominciarono a prendere sul serio le idee che<br />

comparivano in quelle traduzioni. Il con cetto buddhista di k’ung parve abbastanza<br />

vicino a quello di wu, non essere, da richiamare l’attenzione cinese, e verso la metà<br />

del secolo i monaci buddhisti cominciarono a prendere parte ad astruse conversazioni<br />

filosofiche nelle corti <strong>della</strong> <strong>Cina</strong> meridionale. I dominatori non ci nesi del<br />

Nord si rallegrarono <strong>della</strong> fioritura <strong>della</strong> nuova religione: pote va accrescere il loro<br />

prestigio di protettori <strong>della</strong> religione e aiutarli a uni ficare popolazioni diverse. Ai<br />

dominatori, comunque, interessava assai meno la filosofia che non la meditazione,<br />

la quale, secondo i monaci e anche secondo i monarchi, poteva conferire poteri<br />

straordinari, come la capacità di prevedere l’esito delle battaglie.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!