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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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342 Paul S. Ropp<br />

il punto di svolta non si ha alla fine, ma a due terzi o a tre quarti del corso <strong>della</strong><br />

storia. Mentre il pubblico occidentale può giudicare la parte conclusiva, piuttosto<br />

tranquilla, di una simile opera come una caduta di tensione e perciò rimanerne deluso,<br />

i cinesi ricavano dal finale tran­ quillo e «crepuscolare» un senso di completamento<br />

di un ciclo, l’affer­ mazione implicita che «la vita continua» e che la fine di un<br />

ciclo è il prologo di un altro ciclo 5 . Il voler sempre vedere la vita come l’alter- narsi<br />

e l’interagire senza sosta di vita e morte, gioia e dolore, estate e inverno, ordine e<br />

caos, è una visione che ispira meraviglia e stupore e che i cinesi trovano profondamente<br />

soddisfacente e significativa. Una simile visione del mondo spiega la relativa<br />

mancanza di tragedia e di intrecci unilineari nella narrativa cinese.<br />

Ho descritto alcune caratteristiche <strong>della</strong> narrativa cinese e ho messo a confronto<br />

in termini molto generali la tradizione narrativa cinese e quella occidentale.<br />

Nella seconda parte del capitolo mi concentrerò sui romanzi cinesi stessi. Dopo<br />

avere aver esposto brevemente le principali categorie <strong>della</strong> narrativa cinese e aver<br />

accennato allo sviluppo dei diver- si tipi di racconto breve dal secolo X in poi, concluderò<br />

con un esame dei più famosi romanzi tradizionali cinesi scritti fra il secolo<br />

XIV e il XIX.<br />

Patrick Hanan ha individuato nella tradizione cinese tre distinte forme di letteratura<br />

che corrispondono a tre tipi di pubblico. La massa <strong>della</strong> popolazione, illetterata<br />

e relativamente povera, aveva una tradizione orale costituita di storie raccontate<br />

in cinese dialettale nei mercati e nei quar- tieri urbani dei divertimenti. Per<br />

la classe altamente erudita del lettera- ti, la letteratura comprendeva anche racconti<br />

brevi in cinese «mandari­ no», ossia cinese classico, la lingua scritta <strong>della</strong> burocrazia,<br />

altamente allusiva (cambiata ben poco nel tempo trascorso fra l’epoca di Confucio<br />

e il secolo XX) che richiedeva anni di studio per essere appresa. Ma a partire almeno<br />

dal secolo XIV si sviluppò una letteratura scritta nella lingua parlata, che attingeva<br />

sia alla tradizione orale sia a quella classi­ ca; essa si rivolgeva specificamente a<br />

una «classe media» urbana di se­ miletterati: bottegai, mercanti, artigiani, impiegati,<br />

contabili e funzio- nari di basso livello. Un tempo gli studiosi ritenevano che le<br />

storie scrit- te nella lingua parlata fossero composte principalmente dai cantastorie<br />

urbani come brogliacci per le loro recite. Può darsi che alcune volte sia stato<br />

così, ma oggi sappiamo che anche molti scrittori istruiti prendeva- no a prestito<br />

dai cantastorie le loro convenzioni e scrivevano queste sto- rie per un pubblico in<br />

possesso di un’istruzione relativamente alta.<br />

5 Andrew H. Plaks, «Toward a Crítical Theory of Chinese Narrative» in Andrew H. Plaks (a cura<br />

di), Chinese Narrative: Criticai and Theoretical Essays, Princeton, Princeton Uni- versity Press, 1977, pp.<br />

334-39.

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