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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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Tradizioni religiose nella civiltà cinese: buddhismo e taoismo 173<br />

Benché non sembrasse molto promettente, fu l’ambiente del Nord a dare il<br />

primo monaco cinese capace di afferrare il pieno potenziale del buddhismo. Taoan<br />

(312­385) si occupò di tutti i campi dell’insegna mento buddhista, dai primi esercizi<br />

di meditazione al tipo di riflessione filosofica in auge nel Sud. Comprendendo<br />

che la religione straniera non corrispondeva bene alle idee cinesi, sottolineò l’importanza<br />

<strong>della</strong> fedel tà nella traduzione e compilò un catalogo di tutte le traduzioni<br />

che riu scì a trovare: il suo elenco comprende più di seicento libri, assai di più che<br />

analoghi elenchi, risalenti alla stessa epoca, di opere taoiste. Ma Tao-an era pienamente<br />

consapevole delle lacune nella propria conoscen za del buddhismo e incoraggiò<br />

ulteriori processi di traduzione su larga scala. Il fatto che desse la massima<br />

priorità a una più completa traduzio ne del vinaya suggerisce che oltre a cercare una<br />

maggiore comprensione del dharma egli fosse anche molto interessato a migliorare<br />

l’organizza zione del sangha.<br />

La comunità buddhista o sangha, termine che denota soprattutto la comunità<br />

monastica, costituiva una drastica innovazione nella vita reli giosa <strong>della</strong> <strong>Cina</strong> e<br />

la sua salute era essenziale per il mantenimento <strong>della</strong> fede buddhista e per una<br />

sua maggiore diffusione. Prima dell’epoca di Tao-an, i monaci buddhisti cinesi<br />

prendevano un nuovo nome quando entravano nella vita religiosa: prendevano il<br />

cognome dell’insegnante, che di solito si riferiva alla sua origine etnica. Al posto<br />

di questo cam biamento di nome che suggeriva l’affiliazione dei monaci cinesi a<br />

un grup po indiano, iraniano, sogdiano e così via, Tao-an prescrisse ai monaci di<br />

prendere il nome del Buddha, Sakya, ovvero, in cinese, Shih. Questo idea del sangha<br />

buddhista come unica famiglia volontaria tradusse in ter mini più comprensibili<br />

ai cinesi l’idea di ordine monastico, estranea alla cultura cinese. Naturalmente, il<br />

fatto che i cinesi afferrassero il concet to non significa che approvassero un’idea<br />

radicalmente non cinese come quella di un clero votato al celibato; ancor prima<br />

dell’epoca di Tao­an abbiamo le prove di un conflitto sulla condizione del sangha.<br />

In India, quello di tagliare tutti i legami col mondo al fine di perseguire una meta<br />

religiosa era considerato un nobile atto; anche un re poteva chinarsi da vanti a un<br />

monaco. In <strong>Cina</strong>, chi si fosse dato a una vita di celibato sa rebbe stato giudicato<br />

colpevole di avere interrotto la linea dinastica, il che era il massimo dell’irresponsabilità<br />

sociale. Nessun sovrano cinese, inoltre, sarebbe stato disposto a cedere<br />

le proprie prerogative a un sem plice cittadino comune, per quanto santo. Anche<br />

al culmine dell’influenza buddhista in <strong>Cina</strong>, durante la dinastia T’ang, l’accettazione<br />

del sangha da parte <strong>della</strong> corte imperiale non fu mai completa, e il trattamento<br />

fa vorevole, quale che fosse, ricevuto dai buddhisti terminò bruscamente

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