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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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340 Paul S. Ropp<br />

delli narrativi che i narratori copiarono pedissequamente e i missionari buddhisti<br />

scoprirono che una storia bella ed emozionante costituiva un richiamo religioso<br />

assai più forte dell’asciutta spiegazione di un testo sacro. Nonostante il loro radicale<br />

disaccordo sul significato <strong>della</strong> vita, buddhisti e confuciani concordavano sulle<br />

finalità moralistiche <strong>della</strong> narrativa e ciascuno dei due gruppi era promotore di un<br />

ordine eticoreligioso che non lasciava molto spazio alla tragedia e alla disperazione.<br />

Confuciani e taoisti condividevano invece la fede nell’armonia e nell’equilibrio<br />

e una visione ciclica <strong>della</strong> realtà che contribuiva anch’essa a soffocare lo sviluppo<br />

<strong>della</strong> tragedia. I confuciani incitavano alla moderazione in tutte le cose e i taoisti<br />

sostenevano che tutte le situazioni e le qualità contenevano i semi del loro opposto.<br />

L’eccessivo potere con­ duce alla sconfitta, l’estrema ricchezza alla povertà e<br />

qualsiasi virtù, por­ tata all’estremo, diventa vizio. In questa prospettiva (condivisa<br />

da con­ fuciani e taoisti) l’eroe è per definizione un moderato. Così, in contra­ sto<br />

con il tipico eroe tragico greco, sarà difficile che l’eroe cinese venga distrutto da un<br />

nobile impulso dilatatosi fino all’esagerazione. La fede nella natura ciclica <strong>della</strong> vita<br />

contribuisce anche a togliere alla morte il suo lato spaventevole. Quando il filosofo<br />

Chuang Tzu 4 stupì gli amici mettendosi allegramente a cantare dopo la morte <strong>della</strong><br />

moglie, rispose che la morte era una componente naturale <strong>della</strong> vita e non qualcosa<br />

da temere o da piangere. Per i confuciani, invece, la morte è causa di tri- stezza —<br />

la tristezza <strong>della</strong> separazione — ma non di terrore o di pietà, che sono la materia<br />

prima <strong>della</strong> tragedia greca.<br />

Un altro fattore che contribuì ad allontanare una visione tragica del- la vita<br />

fu l’enfasi notata da Keightley (si veda il capitolo secondo, «L’an­ tica civiltà <strong>della</strong><br />

<strong>Cina</strong>: riflessioni su come divenne cinese», del presente volume) sulla società o sulla<br />

collettività invece che sull’individuo. Que- sta attenzione per la collettività, con le<br />

sue componenti burocratiche, può sembrare un’inibizione e un limite agli occidentali<br />

contemporanei, ma portò una grande forza e una grande stabilità sociali nella<br />

<strong>Cina</strong> tradizionale. Se l’individuo viene definito unicamente in termini individuali, le<br />

possibilità tragiche sono illimitate, ma quando gli individui so­ no definiti dalla loro<br />

funzione sociale e dai loro legami con la società, la possibilità <strong>della</strong> tragedia si allontana<br />

rapidamente. Un individuo può morire in modo orribile, ma nella prospettiva<br />

cinese la morte di un individuo è meno comprensibile come destino di un’anima<br />

individuale e più come un evento nel flusso ininterrotto dell’umanità. Se un<br />

uomo subisce ingiustizie e muore per una causa persa, non la si deve vedere come<br />

4 Si veda la voce Chuang Tzu nel Glossario.

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