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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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180 T.H. Barret<br />

il monaco Bodhidharma, portò la speranza che non tutto fosse perduto. Sappiamo<br />

che all’inizio del secolo VI un maestro di meditazione stra niero così chiamato<br />

visitò la <strong>Cina</strong> del Nord, ma le cronache del tempo non parlano delle sue attività.<br />

Fonti successive affermano fosse niente meno che l’ultimo patriarca del buddhismo<br />

indiano, successore di una genealogia di maestri spirituali risalente allo<br />

stesso Buddha, custode di una verità religiosa che era una «trasmissione separata,<br />

fuori delle scrit ture, non dipendente dalla parola scritta», ma «passata da una mente<br />

all’altra» 6 . Anche se una genealogia di praticanti <strong>della</strong> meditazione («Ch’an» in<br />

cinese, «Zen» in giapponese) affermò di portare avanti in <strong>Cina</strong> l’insegnamento di<br />

Bodhidharma, la sua importanza rivoluzionaria non divenne chiara fino al secolo<br />

VIII.<br />

Durante questo periodo furono in circolazione numerosi piccoli trattati attribuiti<br />

a Bodhidharma, ma a causa di polemiche interne tra i suoi eredi spirituali<br />

l’attenzione cominciò a concentrarsi su una figura più recen te: il sesto patriarca cinese.<br />

Quest’uomo, Hui-neng (638­713), che si di ce fosse un illetterato del lontano<br />

Sud, non di origine cinese, risultò più degno di ereditare il mantello dei patriarchi<br />

(almeno, a detta dei difen sori <strong>della</strong> linea di successione di Hui­neng) che un maestro<br />

di medita zione assai più eminente che dominava la corte con i suoi discepoli.<br />

Il famoso Sutra <strong>della</strong> piattaforma si presenta come una trascrizione delle prediche<br />

di Hui­neng. Alla fine, cominciarono ad apparire e a ricevere la stessa attenzione<br />

narrazioni dei detti e dei fatti di maestri successivi che affermavano di discendere<br />

spiritualmente da Hui-neng.<br />

Il movimento Ch’an che si sviluppò nel periodo T’ang sovverti espli citamente<br />

l’intera base di scritture <strong>della</strong> religione buddhista in <strong>Cina</strong>. La verità non si doveva<br />

più cercare in oscure frasi straniere ricavate da un mucchio di traduzioni. La viva<br />

verità era disponibile in <strong>Cina</strong> sotto for ma di maestri che comunicavano direttamente<br />

nella lingua di tutti i giorni. Tutto quel che occorreva per raggiungere l’illuminazione<br />

era già dentro ciascuno. Il concetto non era nuovo per il buddhismo cinese,<br />

ma venne ad assumere una particolare rilevanza dopo le massicce distruzioni delle<br />

biblioteche dei monasteri nella persecuzione dell’842-45 e più generica mente nella<br />

lunga serie di ribellioni che contrassegnò la seconda metà <strong>della</strong> dinastia.<br />

Ma tanto il taoismo quanto il buddhismo furono profondamente colpiti<br />

dal crollo <strong>della</strong> dinastia T’ang. La scomparsa del dominio T’ang significava<br />

la fine del patrocinio imperiale per il taoismo e dell’alto prestigio<br />

6 Per una spiegazione dell’origine di queste frasi si veda Isshu Miura e Ruth Fuller Sa saki, Zen<br />

Dust, New York, Harcourt, Brace & World, 1966, pp. 229-31.

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