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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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214 Nathan Sivin<br />

medici e per trasformare in oro i metalli comuni. Questa poteva essere definita<br />

«alchimia <strong>della</strong> materia» (alchimia esterna, wai-tan); il suo ana logo, l’« alchimia del<br />

corpo» (alchimia interna, nei-tan) si serviva dei ter mini del laboratorio per insegnare<br />

discipline meditative (o talvolta ses suali) in cui il corpo dell’adepto veniva immaginato<br />

come il contenitore in cui avveniva la reazione o come il forno. Nel primo<br />

millennio, le due alchimie venivano di regola praticate insieme, ma dopo il 1200<br />

non so no documentati progressi nell’alchimia <strong>della</strong> materia.<br />

I materiali e le apparecchiature dell’alchimia erano, nel complesso, gli stessi<br />

<strong>della</strong> farmacologia, con qualche contributo <strong>della</strong> metallurgia e delle altre arti chimiche<br />

pratiche (si veda la fig. 16). Taluni sviluppi, come i complessi vasi per la distillazione,<br />

sono così esclusivi <strong>della</strong> lette ratura alchemica da far pensare che siano stati<br />

inventati dagli alchimisti cinesi. Lo stesso si può dire <strong>della</strong> polvere da sparo. Quella<br />

che è proba bilmente la più antica citazione <strong>della</strong> composizione di, una miscela<br />

esplo siva compare, curiosamente, in un elenco di pratiche pericolose dell’al chimia<br />

<strong>della</strong> materia, in un trattato di alchimia interna scritto non più tardi <strong>della</strong> fine del<br />

secolo IX: «Ci fu un caso in cui solfo e realgar ven nero mescolati con salnitro e<br />

miele, e venne loro dato fuoco. Si svilup parono fiamme altissime, che bruciarono<br />

la mano all’alchimista e man darono in cenere l’edificio» 14 .<br />

Il centinaio di libri di wai-tan che ci rimangono sono probabilmente la fonte<br />

più ricca del mondo per conoscere quel che era noto sulle rea zioni e i loro prodotti<br />

fino al 1200. Essi ci rivelano, in realtà, che l’al chimia non era del tutto qualitativa;<br />

alcuni adepti mostravano vivo in teresse per determinare le proporzioni dei reagenti<br />

che si combinavano per formare una sostanza nuova 15 .<br />

La conoscenza delle trasformazioni chimiche era un mezzo e un pro dotto<br />

collaterale, non lo scopo principale dell’alchimia <strong>della</strong> materia. Per alcuni dei suoi<br />

praticanti, la meta non era diversa da quella <strong>della</strong> medi cina. Altri, invece, non erano<br />

interessati tanto a un prodotto che desse la salute o l’immortalità, quanto al processo<br />

alchemico stesso, che per loro costituiva il modello dei grandi cicli <strong>della</strong> natura,<br />

dei ritmi del tao.<br />

14 Chen yuan miao tao yao-lueh [Elementi essenziali del misterioso tao <strong>della</strong> vera origi ne] in Chengt’ung<br />

tao tsang [Raccolta di opere taoiste], vol. 596, p. 3a. Su questo libro sí veda J. Needham, Science and<br />

Civilisation in China, cit., vol. 5, parte 3, pp. 78-79.<br />

15 Nathan Sivin, Traditional Medicine in J. Needham, Science and Civilisation in China, cit. vol. 5,<br />

parte 4, pp. 300­5. Il saggio è riassunto in «Chinese Alchemy and the Manipula don of Time» in Isis,<br />

LXVII, 1976, pp. 513­26, specialmente p. 521; rist. in Nathan Sivin (a cura di), Science and Technology<br />

in East Asia, History of Science, Selections from Isis, New York, Science History Publications, 1977,<br />

p. 117.

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