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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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304 Michael Sullivan<br />

neolitico del Liaoning risalente a circa il 3500 a. C., suggeriscono che la scultura<br />

abbia avuto in <strong>Cina</strong> una storia più lunga di quanto non si credesse. Ma, a stare alle<br />

attuali conoscenze, nell’arte che precede il pe riodo Ch’in (e dunque fino al 250­240<br />

a. C.), non c’è niente di parago nabile alle monumentali sculture in pietra dell’antico<br />

Egitto. Perciò, non sembra una semplice coincidenza il fatto che la scultura in<br />

pietra co minciasse a svilupparsi in <strong>Cina</strong> pressappoco nello stesso periodo in cui i<br />

cinesi entravano per la prima volta in contatto con l’Asia occidentale. All’epoca<br />

in cui eliminava progressivamente gli stati feudali, il primo imperatore, Ch’in Shi<br />

Huang­ti, commissionò la fusione di dodici enor mi figure in bronzo raffiguranti<br />

quelli che lo storico Ssu­ma Ch’ien chiama semplicemente «uomini» Da dove gli<br />

giunse l’idea di far costruire figu re così gigantesche? Ch’in Shi Huang­ti era altrettanto<br />

un creatore quanto era un distruttore, e forse l’idea gli venne senza bisogno<br />

di suggerimen ti, ma è possibile che gli fosse giunta notizia delle colossali sculture<br />

del la Persia e <strong>della</strong> Siria e forse addirittura del Colosso di Rodi.<br />

La scultura cinese in pietra è sostanzialmente un’arte lineare, anzi ché plastica, e<br />

la sua bellezza sta nel movimento anziché nelle masse. Questa caratteristica è splendidamente<br />

visibile nelle chimere di pietra e nei leoni alati ai lati delle vie d’accesso<br />

alle tombe imperiali tra il pe riodo Han e il T’ang. Molti osservatori hanno notato la<br />

somiglianza tra la piattezza e la linearità delle figure e dei rilievi buddhisti risalenti<br />

al tardo periodo <strong>della</strong> dinastia del Wei Settentrionale (inizio del secolo VI; si veda la<br />

fig. 22) e la scultura romanica. Entrambi i periodi erano «epo che <strong>della</strong> fede» e tale<br />

qualità eterea <strong>della</strong> scultura di Lung-men, ad esem pio, è stata vista come l’espressione<br />

di un’intensa spiritualità. In realtà l’aspetto piatto, lineare, incorporeo delle<br />

sculture buddhiste del Wei Set tentrionale non deriva dal fervore religioso, ma dallo<br />

stile praticato nel la pittura secolare da Ku k’ai­chih (circa 366­406 d.C.) e dai suoi<br />

con temporanei di Nanchino circa un secolo prima. Quando — nelle dinastie Sui<br />

e T’ ang — la scultura buddhista cinese si «riempì» e divenne massic cia e plastica,<br />

come nei templi delle caverne di T’ ien-lung-shan, il cam biamento fu da imputare<br />

parzialmente al fatto che cominciava a subire l’influenza dell’arte indiana; ma anche<br />

nelle figure mo<strong>della</strong>te più sen sualmente, la massa indiana è coperta di linee di drappeggio<br />

che fanno pensare più al pennello del pittore cinese che allo scalpello dello<br />

sculto re in pietra (si veda la fig. 23). Nella fusione finale degli ideali formali indiano<br />

e cinese, fu il cinese a trionfare, soprattutto nelle sculture dei templi delle successive<br />

dinastie, mo<strong>della</strong>te in creta: un materiale che ri sponde facilmente al movimento<br />

<strong>della</strong> mano dell’artigiano, quando crea drappeggi fluenti, nastri e fasce.

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