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L'eredità della Cina - Fondazione Giovanni Agnelli

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22 Jonathan Spence<br />

guarire gli altri autori europei dalle loro «ridicole predilezioni» per i ci nesi. Anson<br />

si affannò soprattutto a correggere talune erronee opinioni occidentali sulla moralità<br />

cinese:<br />

Ma alcuni dei missionari ci dicono che anche se le capacità dei cinesi nelle scienze<br />

sono senza dubbio assai inferiori a quelle degli europei, la moralità e la giustizia insegnate<br />

e praticate da loro sono le più esemplari. E a stare alle descrizioni di alcuni dei<br />

buoni padri, si finirebbe davvero per credere che l’intero impero fosse una famiglia<br />

ben governata e armoniosa, in cui le uniche contese nascerebbero per decidere chi<br />

deve esercitare maggiormente l’umani tà e la carità. Ma quel che ho riferito in precedenza<br />

sulla condotta dei ma gistrati, dei mercanti e degli artigiani di Canton dovrebbe<br />

essere sufficiente a confutare siffatte finzioni gesuitiche. Quanto poi alla loro filosofia<br />

morale, se possiamo giudicare dal campionario che ne incontriamo nelle opere dei missionari,<br />

scopriamo che si tratta unicamente di osservazioni materiali, e non di disamine<br />

del giusto criterio delle azioni umani e di come si debba re golare in generale il nostro<br />

rapporto con il prossimo, sulla base di principi equi e ragionevoli.<br />

In verità, l’unica pretesa dei cinesi a una moralità superiore a quella dei loro vicini<br />

si fonda non sull’integrità personale o sul fare il bene, ma su una mera imperturbabilità<br />

esteriore del comportamento, e su un costante sforzo di soffocare tutti i sintomi di<br />

passione e di violenza 7 .<br />

Queste annotazioni potrebbero venire accantonate come semplici «mugugni»<br />

di un marinaio misantropo, se non avessero fatto risuonare una corda più profonda<br />

in Francia, dove l’iniziale apertura nei riguardi <strong>della</strong> <strong>Cina</strong> stava ormai svanendo.<br />

La più fondata critica di Montesquieu, sorta in parte dal suo interesse per<br />

la geografia, il clima e l’ambientali smo, era che ci fosse qualcosa di storto nelle<br />

cosiddette leggi <strong>della</strong> <strong>Cina</strong> perché esse inibivano la libertà anziché promuoverla,<br />

e perché i cinesi erano governati dalla paura e non dalla saggezza. Rousseau,<br />

che già ave va litigato con Voltaire per altre questioni, era in disaccordo con lui<br />

an che per ciò che riguardava la <strong>Cina</strong>. Secondo Rousseau, un’analisi <strong>della</strong> cultura<br />

cinese avrebbe dimostrato la correttezza <strong>della</strong> sua idea che l’i struzione poteva<br />

corrompere anziché nobilitare il comportamento, che c’era una nobiltà primitiva<br />

del carattere che occorreva coltivare, se si voleva che desse frutti, e che tale<br />

capacità si era atrofizzata nella <strong>Cina</strong>. Nicolas­Antoine Boulanger ripeté le stesse<br />

osservazioni nel suo Recher ches sur l’origine du dispotisme orientai del 1763. Da siffatte<br />

impressioni all’affermazione di Condorcet che i cinesi erano estranei alla<br />

marcia del progresso umano, il passo era breve, e così all’affermazione di Hegel,<br />

7 La critica di Daniel Defoe è in The Further Adventures of Robinson Crusoe, London, W. Taylor,<br />

1719. Le citazioni sono da Richard Walter e Benjamin Robins (a cura di), A Voyage around the World in<br />

the Years 1704-44 by George Anson, Oxford, Oxford University Press, 1974, pp. 351-52, 366, 368.

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