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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 337<br />

miche e congiunturali, dovute spesso ad eventi bellici, hanno indotto alla<br />

constatazione che non sempre lo stato di insolvenza è dovuto ad un comportamento<br />

colposo o doloso dell’imprenditore e, comunque, ad una sua<br />

incapacità nell’organizzazione dell’attività imprenditoriale, dipendendo invece<br />

da fattori spesso neppure prevedibili, connessi al più generale andamento<br />

dell’economia generale del paese. Il legislatore, pertanto, si è limitato<br />

a prevedere il ricorso a questa procedura tutte le volte in cui l’imprenditore<br />

in buona fede si sia venuto a trovare in stato di insolvenza per cause a lui<br />

non addebitabili, ma non si è reso conto che il punto focale della questione<br />

non sta nella individuazione della responsabilità del debitore, il che può<br />

avere rilievo solo nell’indagine sulla bancarotta fraudolenta, e non consiste<br />

nella semplice ricerca delle cause del dissesto.<br />

Le crisi congiunturali, infatti, non richiedevano, ed a maggior ragione<br />

non richiedono oggi, soltanto la previsione di rimedi più benevoli per l’imprenditore<br />

onesto e sfortunato, esigendo invece un nuovo atteggiamento<br />

del legislatore di fronte all’insolvenza dell’imprenditore commerciale, ed<br />

in particolare non solo che si preveda genericamente la possibilità di superare<br />

la crisi, ma più precisamente che si predispongano gli strumenti idonei<br />

per il rifinanziamento e la ristrutturazione aziendale.<br />

Di ciò nella legislazione del 1942 non vi è traccia alcuna. Al contrario,<br />

niente esclude che, omologato il concordato preventivo, l’imprenditore<br />

provveda alla disgregazione dell’azienda, talvolta proprio allo scopo di pagare<br />

la percentuale prevista per i creditori.<br />

Appare dunque evidente che le finalità della conservazione dell’impresa<br />

e del suo risanamento, per la tutela di interessi che vanno oltre gli interessi<br />

del debitore e dei creditori, trovano, attraverso le procedure del concordato<br />

preventivo e dell’amministrazione controllata, poco spazio per essere concretamente<br />

attuate.<br />

Ma ancora minore è questo spazio se si considera la procedura fallimentare.<br />

Non solo, infatti, non è prevista come in altri ordinamenti europei, una<br />

fase di regolamento giudiziario dell’insolvenza, che consenta appunto di valutare<br />

adeguatamente la possibilità di salvare l’impresa e di predisporre i<br />

mezzi a tal fine necessari, ma lo stesso istituto dell’esercizio provvisorio dell’impresa<br />

fallita appare del tutto inadeguato allo scopo.<br />

Delle due fasi dell’esercizio provvisorio, infatti, la prima, quella della<br />

continuazione dell’impresa, può essere disposta anche per la tutela di interessi<br />

che non siano quelli dei creditori, purché non a loro scapito, la seconda<br />

invece può essere attuata nel solo interesse dei creditori, il cui parere sfavorevole<br />

espresso tramite il comitato dei creditori blocca la procedura, con<br />

esclusione di ogni altro interesse. Se, talvolta, l’interesse dei creditori e quello<br />

dei prestatori di lavoro, dei destinatari della produzione o addirittura della<br />

economia in genere coincidono, richiedendo tutti la prosecuzione dell’attività<br />

imprenditoriale, nel momento in cui vengono in conflitto è certamente

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