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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 247<br />

sione delle banche, che si consideravano vittime designate di una vera e<br />

propria aggressione da parte delle curatele; in secondo luogo, l’esigenza<br />

d’allineare la nostra normativa alle soluzioni accolte nella maggior parte degli<br />

altri ordinamenti comunitari, al fine d’impedire che un regime revocatorio<br />

troppo rigido, capace di minare alla base ogni certezza in merito alla stabilità<br />

degli acquisti e dei pagamenti, si trasformasse in una vera e propria<br />

penalizzazione sul piano della concorrenza; in terzo luogo, le istanze di molte<br />

categorie di soggetti – fornitori, acquirenti d’immobili, professionisti, intermediari<br />

specializzati e così via dicendo – che ritenevano insopportabile,<br />

per le loro economie individuali, il peso delle impugnative; infine, ma non<br />

da ultimo in ordine d’importanza, la speranza d’eliminare – come si è detto<br />

– un serio intralcio al tempestivo avvio delle procedure concorsuali e, prima<br />

ancora, un insormontabile ostacolo per le operazioni di consolidamento finanziario<br />

e di ristrutturazione aziendale.<br />

1.7. Ovviamente, anche la scelta di ridurre l’impatto delle revocatorie<br />

non è senza costi, che si pagano in termini di una minore incisività della<br />

par condicio, ovvero – se non si rifugge dalle espressioni un po’ magniloquenti<br />

– immolando sull’altare dell’efficienza economica i più alti ideali della<br />

giustizia distributiva.<br />

Qualcuno fa osservare, infatti, che si è ridotto il vincolo di solidarietà tra<br />

i creditori, con un ulteriore rafforzamento delle classi già forti; ed aggiunge<br />

che molte procedure, non potendo più contare sull’apporto delle revocatorie,<br />

verranno presumibilmente chiuse per mancanza d’attivo, subito dopo la<br />

dichiarazione d’insolvenza.<br />

A ben guardare, però, una consistente deflazione del contenzioso fallimentare<br />

era nei voti, giacché, se si esamina il problema senza lasciarsi condizionare<br />

dalla pur nobile esigenza di riaffermare certi valori, si deve ammettere<br />

che il fallimento era diventato, ormai, un sistema autoreferenziale,<br />

giacché la redistribuzione delle perdite, operata dalle revocatorie, finiva in<br />

molti casi col produrre, come unico effetto – vista l’esiguità delle percentuali<br />

distribuite ai creditori – un puro e semplice trasferimento di risorse a favore<br />

di certe classi di professionisti.<br />

Veniva voglia, in altri termini, di rievocare il pungente sarcasmo di<br />

Voltaire, quando attribuiva al fallimento la funzione di permettere ai giudici<br />

(noi diremmo: al sistema giudiziario nel suo complesso) d’impadronirsi<br />

dei beni del debitore, prima che arrivino ... i creditori.<br />

Sarcasmo a parte, un’attenuazione dell’impatto delle revocatorie appariva<br />

necessaria ed improcrastinabile, soprattutto in un’economia, come la<br />

nostra, che ha bisogno di ridurre i costi, se vuole riacquistare competitività.<br />

Sul punto, in fondo, vi era (e vi è) un consenso abbastanza diffuso. Molto<br />

meno concordi, invece, sono i pareri sulla bontà delle scelte tecniche compiute<br />

dalla riforma.

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