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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

viarmi verso la conclusione. I numerosi interventi operati dalla riforma in<br />

materia di revocatoria in un certo senso costituiscono il naturale sviluppo<br />

di alcune tendenze evolutive del sistema, che si erano già manifestate da<br />

qualche anno. Penso, in particolare, alla norma sui pagamenti effettuati tramite<br />

intermediari, che consente di colpire il vero destinatario della prestazione,<br />

al posto di chi ha solo materialmente ricevuto la somma di denaro,<br />

con la quale effettuare l’atto solutorio. Penso al chiarimento offerto dal legislatore<br />

in tema di garanzie contestuali, che impone di valutare la gratuità o<br />

l’onerosità dell’atto dal punto di vista del creditore garantito. E penso, ancora,<br />

alla norma che limita gli effetti della revoca, quando sotto i suoi strali<br />

cadono delle fattispecie estintive riferibili a rapporti continuativi o reiterati.<br />

In tutti questi casi, le soluzioni accolte – che spesso sembrano di semplice<br />

buon senso – sono in realtà il frutto di una contaminazione di modelli<br />

concettuali diversi, perché mediano tra due archetipi normativi: quello dell’atto<br />

nullo, per illiceità dei motivi; e quello dell’atto illecito, per violazione<br />

dell’altrui sfera giuridica.<br />

Dal primo modello viene tratta l’idea di una caducazione, sia pure parziale<br />

e relativa, degli effetti dell’atto, con la conseguenza che le caratteristiche<br />

di base dell’azione sono quelle proprie delle impugnative e non quelle<br />

dei rimedi risarcitori.<br />

Dal secondo modello si trae l’idea che, in alcuni casi, il terzo può essere<br />

chiamato a rispondere anche se non ha avuto un contatto materiale con la<br />

sfera giuridica del fallito (si pensi ai pagamenti di terzo); ed ancora l’idea<br />

che l’elemento della frode del terzo deve prevalere, ai fini della dichiarazione<br />

d’inefficacia dell’atto, sull’accertamento d’eventuali vizi del potere dispositivo<br />

del debitore (e qui gli esempi potrebbero essere molti – dalla revoca<br />

delle ipoteche giudiziali, alla revoca dei pagamenti di terzi – ma mi piace<br />

ricordare quanto si è detto sullo specifico angolo visuale, dal quale deve essere<br />

valutato il carattere gratuito o oneroso dell’attribuzione patrimoniale<br />

impugnata); e sempre dallo stesso modello (dell’illecito) viene tratta, infine,<br />

l’idea che gli effetti della revoca possono essere talvolta mitigati, per commisurarli<br />

(non tanto al danno effettivamente subito dai creditori sulla base<br />

del nesso di causalità, quanto) al danno, che si ritiene di poter imputare al<br />

convenuto sulla base di certi standard valutativi, o di certi giudizi social-tipici<br />

(basta ricordare il cosiddetto massimo scoperto).<br />

21.1. A mio sommesso avviso, questa contaminazione di schemi concettuali<br />

è molto feconda e dovrebbe dare da riflettere anche sul piano metodologico.<br />

Forse, però, in questa sede è più importante segnalare un altro<br />

profilo della riforma, che si coglie dando uno sguardo d’insieme alle norme<br />

che regolano le nuove esenzioni.<br />

Al riguardo, infatti, ci si accorge ben presto che il legislatore ha previsto<br />

trattamenti differenziati, a seconda del ruolo che le varie categorie di credi-

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