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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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292<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

strade, astrattamente percorribili dall’interprete, finiscono in un vicolo cieco<br />

o, almeno, in un ginepraio, dal quale è difficile uscire. Ed infatti: se si<br />

ritiene di dare l’assoluta prevalenza, anche fuori del fallimento, alla componente<br />

finanziaria del rapporto (la restituzione del capitale con gli interessi),<br />

si mette in non cale la volontà dei privati (d’ottenere, a certe condizioni,<br />

l’acquisto o la restituzione del bene concesso in godimento); se si ritiene,<br />

invece, che la disciplina dettata dalla legge fallim. non possa essere applicata<br />

al di fuori delle procedure concorsuali, resta da spiegare sulla base di quali<br />

criteri il legislatore abbia potuto modificare – sia pure solo a determinati<br />

fini – la struttura del sinallagma contrattuale.<br />

In altri termini, resta da spiegare come mai il legislatore abbia ritenuto,<br />

in questo caso, d’imporre alle parti un assetto diverso da quello programmato,<br />

quando in genere gli effetti del fallimento sui rapporti in corso d’esecuzione<br />

si riducono ad uno scioglimento forzoso del vincolo (che poi è<br />

nei fatti) ed incidono, al massimo, sulla possibilità (che talvolta viene negata)<br />

di conseguire il risarcimento del danno causato dalla mancata attuazione<br />

del programma negoziale.<br />

12.4.2. Un secondo problema è costituito dal rilievo che la novella si riferisce,<br />

in maniera espressa ed esclusiva, al credito del concedente «in linea<br />

capitale», mentre non sembra curarsi degli interessi già maturati.<br />

Molto probabilmente, anche in questo caso si è verificato un difetto di<br />

coordinamento tra due enunciati normativi. La riforma, infatti – richiamando<br />

nella prima parte del comma 2 dell’art. 72-quater il solo «capitale investito»,<br />

senza parlare degli interessi – probabilmente ha inteso negare (e su<br />

questo si poteva essere d’accordo) che la società dileasing possa pretendere<br />

una remunerazione per una prestazione creditizia non ancora eseguita alla<br />

data del fallimento.<br />

Già nel corso dei lavori preparatori si era segnalato, tuttavia, che la formulazione<br />

della norma rischiava d’andare oltre il segno, perché poteva sembrare<br />

che volesse escludere anche il diritto del concedente a percepire gli<br />

interessi maturati prima dell’apertura del concorso.<br />

Forse l’obiezione non ha fatto breccia (ma è solo una congettura), perché<br />

s’è pensato che fosse superata dalla disposizione contenuta nell’ultima<br />

parte dello stesso comma, là dove s’esentavano dalla revocatoria i pagamenti<br />

dei canoni scaduti (le «somme già riscosse»), i quali ovviamente incorporano<br />

anche gli interessi, di cui stiamo parlando.<br />

Purtroppo, però, non ci si è resi conto (ma è sempre una supposizione)<br />

che le due disposizioni contenute nella norma in esame (il comma 2 dell’art.<br />

72-quater) si muovono secondo logiche diverse, giacché la prima, quando<br />

individua i diritti e gli obblighi del concedente, fa un discorso astratto,<br />

«di competenza»; mentre la seconda, quando esonera certi atti solutori dalla<br />

revoca, li suppone avvenuti e, quindi, si riferisce ad un esborso concreto,

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