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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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294<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

vendita (o alla capitalizzazione del reddito prodotto da una nuova concessione<br />

in leasing) costituiscono una base presuntiva per il calcolo del valore<br />

del bene: fermo restando che la curatela può chiedere i danni, qualora dalla<br />

riallocazione sul mercato si sia ricavato meno di quanto si sarebbe potuto<br />

ottenere, agendo con la dovuta diligenza. Se il concedente, invece, resta<br />

inerte, toccherà alla curatela dimostrare a quanto ammonti la «differenza<br />

fra la maggiore somma ricavata [o ricavabile] dalla vendita o da altra collocazione<br />

del bene ... rispetto al credito residuo in linea capitale».<br />

12.4.4. Su queste basi, s’intende di leggieri come nella locazione finanziaria<br />

la proprietà del bene, pur espletando una funzione di garanzia, non<br />

dia luogo ad un rapporto in qualche modo confrontabile con un’ipoteca<br />

o con un pegno.<br />

È vero che il concedente è legato da un vincolo nei confronti dell’utilizzatore,<br />

per cui, se il bene rientra nella sua sfera patrimoniale a causa del<br />

mancato esercizio del diritto d’opzione, si deve tenere conto (almeno in sede<br />

fallimentare) del fatto che su di esso grava l’interesse di un terzo.<br />

Tuttavia, la persistenza del predetto vincolo a favore dell’utilizzatore non<br />

impone al concedente di vendere (o di far vendere) la cosa posta a garanzia<br />

del suo credito; non gli impedisce di tenerla presso di sé, per utilizzarla come<br />

meglio crede; ma gli impedisce soltanto di trattenerne l’intero valore, qualora<br />

quest’ultimo superi l’ammontare del suo credito residuo; gli impone, cioè, di<br />

«versare alla curatela» quella differenza, di cui più volte s’è parlato.<br />

D’altro canto, non mi pare che questa regolamentazione del rapporto<br />

«di garanzia» entri in conflitto con il divieto di patto commissorio (art.<br />

2744, cod. civ.), in base al quale il creditore non si può appropriare del bene<br />

posto a tutela delle sue pretese: e ciò, non solo per un motivo formale,<br />

dato dal rilievo che il concedente non s’è mai spogliato della proprietà della<br />

cosa; ma, soprattutto, per la ragione sostanziale che il legislatore ha predisposto<br />

uno specifico meccanismo per impedire – sia pure con un rimedio di<br />

carattere obbligatorio – ogni approfittamento ai danni del debitore.<br />

Naturalmente la materia meriterebbe ben altri approfondimenti; ma è<br />

tempo, ormai, di ritornare al filone principale del nostro discorso.<br />

12.5. L’esenzione prevista per le somme già riscosse. – Se quanto precede<br />

è vero, ne esce confermata l’affermazione iniziale, che gli atti sottratti alla<br />

revoca non possono essere assimilati ai pagamenti dei canoni di una locazione,<br />

o delle rate di una vendita con riserva di proprietà e, quindi, non servono<br />

a procurare «beni e servizi», ma servono – nella nuova prospettiva aperta<br />

dalla riforma – ad estinguere un debito finanziario.<br />

Per superare l’ostacolo posto dalla non sovrapponibilità delle fattispecie<br />

previste dalle due norme messe a confronto (l’art. 67, comma terzo, lettera<br />

a, e l’art. 72-quater, comma secondo ultimo inciso) si potrebbe osservare

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