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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

Dopo varie situazioni altalenanti, nella recente miniriforma della legge<br />

fallim., si è espressamente escluso che il fallimento della società di capitali<br />

possa essere esteso agli unici azionisti o quotisti, ma si è invece previsto la<br />

possibilità di estensione nei confronti del socio tiranno. In realtà, però, si<br />

dovrebbe evitare che una persona sia ritenuta tiranna di una società a Foggia<br />

e non a Lucera a diciotto chilometri di distanza, o a Milano e non a Napoli,<br />

e così via di seguito, Occorre, cioè, che il legislatore in sede di riforma<br />

della legge fallim. non si limiti alla mera previsione della estensione del fallimento<br />

sociale a queste categorie di persone ma anche che indichi i criteri<br />

in base ai quali identificarle; in sostanza, che specifichi in quali situazioni di<br />

fatto si assume la qualifica di socio tiranno.<br />

Con il passare degli anni hanno cominciato a venire meno certe strutture<br />

portanti di questa nostra ricostruzione dei presupposti sostanziali che devono<br />

caratterizzare gli imprenditori soggetti alle procedure concorsuali. A<br />

cominciare dalle categorie di imprenditore artigiano e di imprenditore agricolo.<br />

Nel 1956 vi è stata la prima legge e nel 1986 la seconda, le quali hanno<br />

esteso notevolmente le dimensioni della figura dell’artigiano. Hanno previsto<br />

la possibilità di costituirsi in forma sociale ed inoltre che sussiste tale<br />

qualifica anche se l’imprenditore utilizza un numero rilevante di dipendenti,<br />

che, in certi settori, come quello manifatturiero, può raggiungere le cento<br />

unità ed indipendentemente da limiti di capitale, perché nei tempi moderni<br />

non è possibile svolgere una attività anche artigianale senza l’inserimento<br />

massiccio di capitali, di attrezzature e simili.<br />

Analogamente per l’imprenditore agricolo. Vi sono state varie leggi che<br />

hanno finito per rendere sempre più evanescente il richiesto rapporto del<br />

prodotto con il fondo, fino ai decreti nn. 226, 227, 228 del 2001, i quali<br />

hanno dato una nuova definizione di imprenditore agricolo, precisando<br />

che «per coltivazione del fondo, per silvicoltura e per allevamento di animali<br />

devono intendersi le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo<br />

biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale,<br />

che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, o le acque dolci,<br />

salmastre o marine».<br />

All’imprenditore agricolo, inoltre, è stato equiparato l’imprenditore ittico,<br />

facendovi rientrare una serie di attività che nulla hanno a che fare con<br />

quella tipica della pesca, cioè con la cattura del pescato, e che hanno sostanzialmente<br />

natura commerciale, esercitabili non solo nell’ambiente acquatico,<br />

ma anche sul territorio, con forme che richiamano l’agriturismo e con<br />

dimensioni che vanno ben oltre la piccola impresa, per assumere quella<br />

di società di non piccole dimensioni.<br />

Ormai queste categorie di artigiano e di imprenditore agricolo, sia che<br />

operino in forma individuale che in forma di società, hanno ben poco che li<br />

distingue dall’imprenditore industriale, per cui bene hanno fatto i recenti

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