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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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278<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

Intendiamoci: sul piano tecnico-giuridico, l’atteggiamento della giurisprudenza<br />

dianzi richiamata (non di quella che duplicava le revocatorie) potrebbe<br />

anche essere condiviso, dato che il giroconto si configura come un<br />

atto estintivo di un debito pregresso, in palese violazione della par condicio<br />

creditorum. Sul piano di una maggiore attenzione ai valori in gioco, si sarebbe<br />

dovuto distinguere, invece, caso da caso, perché, se la banca ha concesso<br />

davvero nuova finanza, non ci si può meravigliare che chieda una migliore<br />

collocazione dei crediti preesistenti, purché l’intervento sia mirato, nel complesso,<br />

a riequilibrare l’esposizione debitoria dell’azienda, per farle superare<br />

la crisi.<br />

In altri termini, si sarebbero dovute distinguere le ipotesi, nelle quali si è<br />

davvero consumata una frode alla legge (tenendo conto della nuova funzione<br />

sociale dell’esenzione), dalle ipotesi, nelle quali la copertura dei debiti<br />

pregressi risponde alla logica di un’operazione di risanamento finanziario,<br />

concepita in maniera unitaria.<br />

8.3. Tenendo conto della situazione concreta, sulla quale l’intervento legislativo<br />

è venuto ad incidere, non è difficile ricostruire la ratio della disposizione<br />

in esame.<br />

In realtà, lo scopo originario della norma (quale risultava dalle sue prime<br />

formulazioni, nell’iter dei lavori preparatori) era di mettere al riparo dalle<br />

revocatorie l’erogazione di nuova finanza, alla duplice condizione: che il<br />

denaro fresco, messo a disposizione dalla banca, servisse davvero a superare<br />

la crisi, e non a creare una fittizia circolazione di risorse, volta all’unico fine<br />

di ripianare la pregressa esposizione del cliente o di acquisire, almeno, nuove<br />

garanzie; che, una volta assicurato il perseguimento del predetto obiettivo,<br />

fossero tutelate anche le preesistenti pretese del creditore, in modo da<br />

tenere conto del fatto che l’operazione deve assicurare dei vantaggi ad entrambe<br />

le parti.<br />

Per conseguire tali risultati, si doveva andare in cerca, tuttavia, di un<br />

meccanismo in grado di garantire il carattere non velleitario (e non fraudolento)<br />

dell’intervento compiuto dal finanziatore, e lo si è trovato nella<br />

predisposizione di un piano industriale, la cui fattibilità fosse asseverata<br />

da un esperto (scelto con le modalità previste dall’art. 2501-bis, cod.<br />

civ., che hanno dato luogo ad una serie di rilievi critici, di cui qui non mette<br />

conto parlare).<br />

A questo punto, però, anche l’ambito d’applicazione dell’esenzione dalla<br />

revoca è stato ampliato, fino a farvi rientrare tutti gli atti previsti dal piano,<br />

nel presupposto che, se viene eliminato (almeno in maniera prospettica<br />

e sulla base di ragionevoli previsioni) lo stato d’insolvenza, non v’è motivo<br />

di colpire con gli strali dell’inefficacia quegli atti di smobilizzo (in genere<br />

cessioni di rami d’azienda, o vendite di beni non strumentali all’esercizio<br />

dell’impresa), che appaiono indispensabili (in una con la concessione di

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