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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 387<br />

dale. Prima di affrontare in via specifica tale argomento, è però necessario<br />

fare un cenno agli istituti giuridici da cui mutuare elementi di ausilio per<br />

l’inquadramento della materia. A tal fine sembra ragionevole argomentare<br />

che vada applicata, in via analogica e con gli adattamenti necessari, la normativa<br />

del cod. civ., in materia di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento<br />

(Merger leveraged buy out – MLBO). Il ricorso all’analogia è<br />

giustificato dalla somiglianza di taluni importanti elementi e della ratio della<br />

disposizione. In ambedue i casi, il problema riguarda la sistemazione del debito<br />

ed il legislatore, in entrambe le situazioni, ha avvertito l’esigenza che<br />

essa sistemazione sia verificata (rectius dimostrata), mediante un progetto<br />

contabile previsionale realistico e congruente, sebbene nel caso della fusione<br />

tale attività sia limitata al debito contratto per l’acquisizione delle azioni<br />

della società target o preda, mentre la norma fallimentare riguarda l’indebitamento<br />

complessivo.<br />

Quanto alla materia economica, si osserva quanto segue. Gli economisti<br />

finanziari ( 15 ), che si sono occupati della redazione di piani di risanamento<br />

in sede giudiziaria, hanno messo in luce che due sono le misure<br />

che, di solito, si adottano: a) quelle dirette a migliorare la redditività edi<br />

flussi finanziari aziendali; b) quelle dirette a sistemare l’indebitamento e a<br />

generare liquidità. Le prime richiedono l’elaborazione di programmi di<br />

riorganizzazione industriale volti al miglioramento della produttività, anche<br />

mediante contrazione selettiva del volume di attività e riduzione dell’ampiezza<br />

della gamma, con semplificazione della linea dei prodotti, al<br />

fine di riportare in utile il conto economico. Le seconde misure sono essenzialmente<br />

quattro: 1) realizzo di attività patrimoniali, 2) consolidamento<br />

di debiti, ristrutturazione di prestiti, 3) datio in solutum di beni, 4)<br />

conversione di debiti in capitale. Se si esclude l’aumento del capitale<br />

in natura, le operazioni di cui al numero 2 sono quelle menzionate dalla<br />

norma; la 1 e la 3 non sono enunciate: sono i convitati di pietra. Nel primo<br />

caso l’azienda dismette cespiti, di solito immobilizzazioni, destinando,<br />

ovviamente, il netto ricavo al pagamento di creditori a breve termine, che<br />

sono quelli più insidiosi. Questa misura si risolve certamente in un miglioramento<br />

della situazione finanziaria in quanto il passivo a breve si abbassa<br />

e gli indici di liquidità migliorano. È d’altra parte evidente in tal<br />

caso che, se non si rispetta la regola della par conditio creditorum, si eseguono<br />

pagamenti preferenziali, immuni dalla revocatoria per effetto dell’esenzione<br />

in merito ai pagamenti. Il consolidamento di debiti, che riguarda<br />

lo spostamento di passività dal breve al medio termine, si traduce<br />

( 15 ) Brugger G., I piani di risanamento nel quadro delle prospettive e dei vincoli dell’amministrazione<br />

controllata, in AA.VV., Crisi d’impresa e amministrazione controllata, Giuffrè,<br />

pag. 190-208, 1986.

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