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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 301<br />

vocatorio da riservare all’atto (o al procedimento), con il quale si costituisce<br />

il patrimonio destinato.<br />

Secondo una parte della dottrina, il legislatore vi avrebbe dovuto provvedere<br />

con un’apposita norma, che sancisse l’inefficacia dell’atto di destinazione,<br />

se compiuto entro una certa data, anteriore della dichiarazione di fallimento.<br />

Secondo altri scrittori, invece, una nuova disciplina non sarebbe<br />

stata necessaria, giacché si sarebbe potuta applicare quella delle attribuzioni<br />

gratuite, come oggi accade per la costituzione dei fondi patrimoniali, volti a<br />

provvedere ai bisogni della famiglia (art. 167 seg., cod. civ.). Secondo un’ultima<br />

corrente di pensiero, infine, di revoca non si sarebbe dovuto nemmeno<br />

parlare, perché il legislatore ha previsto uno specifico strumento di tutela<br />

per i creditori sociali, costituito dal diritto d’opposizione, di cui al comma<br />

2 dell’art. 2447-quater, cod. civ.<br />

14.2.1. L’ultimo argomento potrebbe tagliare la testa al toro, ma appare<br />

inaffidabile, perché in una serie d’altre ipotesi, per le quali il legislatore ha<br />

disposto analoghe forme di tutela (mi riferisco, in primo luogo, all’istituto<br />

della scissione di società), una parte della dottrina ha ritenuto ammissibile<br />

la revoca dell’atto (o di certe attribuzioni patrimoniali, ad esso connesse),<br />

sulla base del rilievo che il diritto d’opposizione, riconosciuto ai creditori,<br />

tutela interessi diversi dall’impugnativa in esame.<br />

Per non impegolarmi in un dibattito, che mi porterebbe molto lontano<br />

dal tema di queste note, preferisco, pertanto, non avvalermi dell’argomento<br />

fornito dal citato art. 2447-quater ed entrare nel merito del problema, ragionando<br />

come se norma citata non esistesse.<br />

Poste queste premesse – che non mi appaiono riduttive, date le conclusioni<br />

alle quali perverrò – dico subito che, a mio sommesso avviso, sarebbe<br />

un errore assimilare la costituzione di un patrimonio destinato alle attribuzioni<br />

gratuite, per il semplicissimo motivo che l’atto di destinazione è preordinato<br />

alla gestione di un affare, dal quale la società si prefigge di trarre un<br />

utile: sarebbe del tutto improprio, pertanto, trattarlo alla stessa stregua d’al-<br />

«l’eredità èaccettata con beneficio d’inventario o se si tratta di eredità giacente, non possono<br />

essere iscritte ipoteche giudiziali sui beni ereditari, neppure in base a sentenze pronunciate anteriormente<br />

alla morte del debitore».<br />

Non conosco la storia della norma e non saprei dire se può essere applicata (in base ad<br />

un’interpretazione estensiva) alla fattispecie in esame. Mi pare, tuttavia, che la disposizione,<br />

qui sopra riportata, segnali un problema ed indichi una direzione di marcia, qualora il legislatore<br />

voglia regolare in maniera più compiuta la materia: non occorre prevedere un autonomo<br />

fallimento dei patrimoni destinati (che presuppone una profonda revisione dell’ordinamento<br />

penale); ma è possibile congegnare una disciplina, che rafforzi la posizione dei creditori<br />

particolari, senza rendere troppo gravosa e burocratica la liquidazione del compendio patrimoniale<br />

posto a garanzia delle loro pretese.

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