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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 323<br />

con riferimento alla data in cui è stato compiuto, oppure alla data in cui<br />

viene aperto il fallimento, o ancora alla data in cui viene esercitata l’azione.<br />

Secondo alcuni scrittori il danno non sarebbe solo il presupposto dell’impugnativa,<br />

ma anche il suo limite, giacché gli effetti della revoca dovrebbero<br />

essere rigorosamente commisurati al pregiudizio subito dalla parte offesa<br />

(con un evidente parallelismo con l’illecito). Secondo la dottrina dominante,<br />

invece, l’impugnativa si limiterebbe ad eliminare (nei confronti d’alcuni<br />

soggetti) gli effetti giuridici dell’atto di disposizione, senza ulteriori varianti.<br />

Anche per quest’ultimo indirizzo teorico è dubbio, tuttavia, se il patrimonio<br />

del debitore deve essere considerato in maniera dinamica (tenendo conto<br />

del reddito che è in grado di produrre), o in maniera statica (e, cioè, fermandosi<br />

a valutare i soli beni esposti alle azioni esecutive dei creditori). Ancora<br />

più nebulosa, poi, è la risposta al quesito se si debba dare rilevo al nesso<br />

di causalità tra l’atto ed il danno, o non si possa tenere conto, almeno, del<br />

fatto che il patrimonio del debitore, inizialmente insolvente, è diventato per<br />

un breve lasso di tempo (legato all’approvazione di un concordato) nuovamente<br />

solvente, per tornare ad essere insolvente (per l’annullamento o la<br />

risoluzione del predetto concordato, oppure per gravi ed improvvise perdite<br />

economiche).<br />

Qualcuno sostiene che un atto, astrattamente idoneo ad arrecare pregiudizio<br />

ai creditori, non dovrebbe essere revocato, qualora non abbia prodotto<br />

il suo effetto tipico (perché, ad esempio, il prezzo della vendita non si<br />

è disperso, essendo rimasto depositato presso un notaio); altri scrittori pensano<br />

che la revoca debba restare preclusa, qualora i beni presenti nell’attivo<br />

siano sufficienti a soddisfare i creditori insinuati (ma la giurisprudenza, in<br />

genere, lo nega, sulla base del duplice rilievo: che la dichiarazione d’insolvenza<br />

fa presumere l’insufficienza del patrimonio del debitore a coprire il<br />

passivo; e che altri creditori possono insinuarsi nella procedura); molti scrittori<br />

pensano, infine, che il danno – con tutte le varianti, di cui abbiamo parlato<br />

– debba essere valutato in maniera diversa, a seconda che si proceda<br />

con la revocatoria ordinaria o con quella fallimentare.<br />

Problemi ancora maggiori s’incontrano, poi, quando si passa ad esaminare<br />

il ruolo del danno nella revoca dei pagamenti e delle garanzie: tale presupposto<br />

deve essere valutato dal punto di vista dei creditori (i quali, ad<br />

ogni pagamento compiuto dal debitore insolvente, vedono ridursi il dividendo<br />

ricavabile dal concorso), oppure dal punto di vista del debitore (il<br />

cui patrimonio netto resta sostanzialmente immutato, se l’esborso del contante<br />

serve ad estinguere una passività di pari ammontare)? Occorre accertare<br />

gli effetti prodotti dal solo atto solutorio, o si deve tenere conto anche<br />

dell’acquisto, che il predetto pagamento ha permesso di conseguire, con il<br />

conseguente incrementato dell’attivo del fallimentare? La concessione di<br />

un’ipoteca arreca pregiudizio alla massa sol perché lede la par condicio, o<br />

perché immobilizza il patrimonio del debitore? I pagamenti anomali sono

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