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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 339<br />

ratività delle piccole imprese ed all’agglomerarsi delle imprese più grandi,<br />

non sempre attuato con il sistema della fusione, che hanno determinato<br />

la creazione di intese industriali e l’istituzione di società racchiuse l’una nell’altra<br />

come scatole cinesi, moltiplicate all’infinito, con un capo gruppo di<br />

difficile identificazione; la partecipazione incrociata nelle società, la possibilità<br />

che la minima partecipazione in una società consenta il controllo di una<br />

serie infinita di società.<br />

Sul piano normativo, la tutela dell’interesse pubblico connesso alla conservazione<br />

dell’impresa ed in primo luogo la tutela del posto di lavoro hanno<br />

indotto il legislatore a considerare l’insolvenza dell’impresa non più come<br />

un fatto che riguarda esclusivamente il debitore ed i creditori ed a prevedere<br />

appositi interventi per assicurare il mantenimento dei livelli di occupazione<br />

e, quindi, evitare la liquidazione di determinate imprese in dissesto,<br />

con l’adozione di piani di riorganizzazione dell’impresa industriale che versa<br />

in difficoltà transitoria.<br />

2. La disciplina del fallimento è dettata dal legislatore del 1942 con specifico<br />

riferimento all’imprenditore persona fisica, mentre poche e marginali<br />

norme riguardano espressamente il fallimento delle società e dei soci illimitatamente<br />

responsabili, che pure pone una problematica vasta e complessa<br />

per quanto concerne sia gli aspetti processuali che i presupposti sostanziali,<br />

soggettivi ed oggettivi.<br />

L’art. 1 legge fallim. prevede genericamente il fallimento dell’imprenditore<br />

commerciale e, quindi, anche delle società commerciali, escludendo che<br />

queste ultime possano essere considerate piccoli imprenditori. L’art. 147,<br />

comma 1, legge fallim., inoltre, dispone che il fallimento della società a responsabilità<br />

illimitata produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili,<br />

aggiungendo, al comma 2, che se, dopo la dichiarazione di fallimento<br />

della società, risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili,<br />

il tribunale, su domanda del curatore o di ufficio, dichiara il fallimento dei<br />

medesimi, dopo averli sentiti in camera di consiglio. Gli artt. 148 e segg. legge<br />

fallim. contengono alcune disposizioni relative ai rapporti fra fallimento della<br />

società e quelli dei singoli soci ed al fallimento delle società cooperative.<br />

Vi è, in queste norme, un sostanziale rinvio al diritto societario sotto un<br />

duplice aspetto. In primo luogo, la legge fallim. non affronta specificamente<br />

il problema dell’assoggettabilità al fallimento di determinati tipi sociali, che<br />

tanti contrasti ha suscitato in dottrina ed in giurisprudenza. Si deve, quindi,<br />

fare applicazione delle disposizioni del cod. civ. che disciplinano le società e<br />

le imprese commerciali per accertare quando ricorrono i requisiti perché un<br />

ente sociale possa ritenersi validamente sorto, assuma la qualifica di imprenditore<br />

commerciale e sia, in quanto tale, assoggettabile alle procedure concorsuali<br />

e quando si verifica l’estinzione di tali enti, con conseguente impossibilità<br />

di dichiararne il fallimento.

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