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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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282<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

9.1. La storia della disposizione, che prevede gli «Accordi di ristrutturazione<br />

dei debiti» (come recita l’epigrafe dell’art. 182-bis), è molto diversa da<br />

quella del «piano di riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa», anche<br />

se – alla fine – le due norme si muovono nella stessa logica e producono,<br />

in buona sostanza i medesimi effetti.<br />

Dapprincipio, infatti, l’obiettivo dell’art. 182-bis era di semplificare la<br />

procedura del concordato preventivo, qualora il debitore fosse riuscito a<br />

raccogliere, già prima della presentazione del ricorso, un ampio consenso<br />

sulla sua proposta, facendola accettare da tanti creditori, quanti ne servono<br />

per raggiungere la maggioranza qualificata di almeno il sessanta per cento<br />

dei crediti. Del resto, l’intenzione del legislatore storico, di regolare una<br />

particolare forma di concordato, è comprovata sia dalla collocazione della<br />

norma (posta all’interno del titolo III della l. fall., dedicato, appunto, al<br />

concordato preventivo), sia dal procedimento d’omologazione, al quale l’accordo<br />

viene sottoposto.<br />

Guardando il prodotto finito (e, cioè, il testo normativo in esame), sorgono<br />

fieri dubbi, tuttavia, che davvero ci troviamo di fronte ad una semplice<br />

variante della procedura regolata dagli artt. 160 seg., legge fall., perché<br />

quest’ultimo istituto serve ad imporre alla minoranza dissenziente la volontà<br />

della maggioranza dei creditori, mentre l’art. 182-bis non contempla alcun<br />

meccanismo di votazione, ma si preoccupa – tutt’al contrario – di garantire<br />

il soddisfacimento integrale dei creditori rimasti estranei all’accordo.<br />

D’altro canto, non sembra che la presentazione della proposta sospenda<br />

le azioni esecutive sul patrimonio del debitore (come accade,<br />

per il concordato preventivo, a norma dell’art. 168, legge fall.): sia perché<br />

non è previsto alcun intervento del giudice, che verifichi i presupposti<br />

per l’ammissione del debitore alla procedura (a partire dal consenso<br />

dei creditori, che rappresentino almeno il 60% dell’intero passivo, e dalla<br />

completezza della documentazione depositata ai sensi dell’art. 161 e dello<br />

stesso art. 182-bis); sia perché non si vota e, quindi, non v’è motivo di<br />

garantire al debitore ed ai creditori un adeguato spatium deliberandi,<br />

per precisare i termini della proposta e valutarla; sia, infine, perché l’accordo<br />

diventa immediatamente efficace, con la pubblicazione nel registro<br />

delle imprese, senza aspettare che il decreto d’omologazione diventi definitivo.<br />

In altri termini, a furia di semplificare l’iter del procedimento e di spingere<br />

ai margini l’intervento del giudice in funzione di controllo, si è creato<br />

un istituto, che non è un concordato e che sembrerebbe produrre, come<br />

unico effetto pratico, quell’esenzione dalla revocatoria, di cui stiamo parlando.<br />

Salvo che, naturalmente, la magistratura non voglia poi recuperare, nei<br />

fatti, il proprio ruolo, sostenendo che è implicita nel sistema l’esigenza di un<br />

decreto d’ammissione alla procedura, con la conseguente applicabilità del<br />

citato art. 168.

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