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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

prima distinzione si ha (a parte le imprese soggette a liquidazione coatta<br />

amministrativa) tra le imprese di «grandi» dimensioni assoggettate alla procedura<br />

di amministrazione straordinaria ed alla procedura di ristrutturazione<br />

industriale, e le imprese medio-piccole, destinate al fallimento, con la sola<br />

esclusione dell’imprenditore «minimo».<br />

Circa l’area di assoggettabilità alle procedure concorsuali sotto il profilo<br />

dimensionale, la relativa problematica forse perde di significativo rilievo se,<br />

come è stato proposto, venisse introdotto il principio della esdebitazione<br />

anche nella «procedura di liquidazione» (nuova denominazione per il «vecchio»<br />

fallimento). Infatti, affermato tale principio, esso dovrà valere anche<br />

per il debitore civile, e comunque per i soggetti sottratti alla procedura concorsuale<br />

commerciale. Anche in tale caso, peraltro, si dovrà avere un sia pur<br />

minimo controllo strutturato sulla fase di liquidazione e quindi una sorta di<br />

«mini procedura concorsuale».<br />

Probabilmente, nell’ambito della disciplina della procedura concorsuale<br />

liquidatoria, andrebbe accentuata una più netta distinzione tra un doppio<br />

percorso, che prescinde dalle dimensioni, ed è invece collegato alla possibilità<br />

o meno di un’attività di gestione, sia essa diretta (esercizio dell’impresa<br />

da parte degli organi della procedura) o indiretta (affitto dell’azienda, operazioni<br />

straordinarie, ecc.). Ciò consentirebbe una maggiore coerenza del<br />

procedimento ed una sua migliore adeguatezza alle situazioni concrete, senza<br />

ridondanze e senza precostituite strettoie.<br />

2. Diamo uno sguardo a ciò che può essere considerato oggi compiuto: la<br />

disciplina della revocatoria fallimentare e quella del concordato preventivo.<br />

Certamente il tema della revocatoria è stato il punto di scontro più caldo<br />

dei tentativi di riforma. Uno scontro tra l’anima che ritiene primaria l’esigenza<br />

del rispetto della par condicio, una volta che si sia manifestato lo stato<br />

di insolvenza e quella che ritiene prevalente l’interesse alla stabilità dei<br />

rapporti, se le operazioni compiute, oggettivamente, non siano espressione<br />

di un anomalo comportamento preferenziale o discriminatorio.<br />

Va ricordato che questi due orientamenti di fondo, per il passato, hanno<br />

trovato il loro fondamento non tanto sui dati testuali forniti dalla legge fallimentare,<br />

quanto su di una aprioristica scelta di natura politico-economica<br />

sulla funzione dell’istituto, che, serenamente può dirsi, il legislatore non<br />

aveva operato, né il dato normativo univocamente forniva: e ciò massimamente<br />

con riferimento ai pagamenti ed alle rimesse bancarie.<br />

Con il decreto legge n. 35 del 2005 tale scelta, ovviamente pur senza<br />

una previsione definitoria, è stata operata, con l’adesione ad una prospettiva<br />

nella quale la tutela della par condicio tra i creditori resta subordinata alla<br />

tutela dell’interesse delle imprese; intendendo, con l’uso del plurale, far riferimento<br />

tanto all’impresa del debitore che all’impresa del «terzo» contraente<br />

o creditore. A tali interessi, per le ipotesi di acquisti immobiliari,<br />

si aggiunge quello della famiglia.

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