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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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348<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

4. Di fronte a questa mutata realtà economica e giuridica, è senz’altro<br />

esatta l’osservazione che, se per talune discipline e secondo una impostazione<br />

tradizionale in materia, la crisi dell’impresa rilevante giuridicamente si<br />

riduce allo squilibrio economico e finanziario, atto a compromettere la capacità<br />

della stessa di assolvere alle sue obbligazioni ed avente la sua manifestazione<br />

peculiare nello stato di insolvenza, il problema della tutela degli<br />

interessi connessi alla conservazione dell’impresa comporta una dilatazione<br />

della nozione di crisi dell’impresa, tale da ricomprendere tutte quelle ipotesi<br />

in cui, a prescindere dall’esistenza di tale squilibrio, si determinano situazioni<br />

tecniche, organizzative e di mercato capaci di incidere sulla tutela e sulla<br />

attuazione degli indicati interessi e sulla persistenza ed integrale continuità<br />

del rapporto di lavoro. Indubbiamente, quest’ultimo interesse deve trovare<br />

le sue peculiari forme di tutela al di fuori delle procedure concorsuali. Ma si<br />

deve senz’altro ritenere che l’insufficienza della nozione di insolvenza, commisurata<br />

esclusivamente all’aspettativa dei creditori, diviene tanto più manifesta<br />

quanto più si allarga la serie degli interessi che l’esercizio dell’impresa<br />

coinvolge e che l’ordinamento riconosce e tutela, ed inoltre che il legislatore<br />

italiano deve più attentamente valutare le possibili ripercussioni dell’insolvenza<br />

dell’imprenditore sulla sorte dell’impresa e favorirne la sopravvivenza,<br />

nonostante lo stato di dissesto del suo titolare.<br />

Si supera in tal modo l’opinione tradizionale che vede il fine del fallimento<br />

nel risanamento dell’economia pubblica, mediante l’eliminazione<br />

delle imprese inferme, se è vero che una moderna economica deve far posto<br />

anche al bisogno economico di permanenza dell’impresa.<br />

La giurisprudenza, nella pratica applicazione degli istituti fallimentari è<br />

pervenuta ad un vero e proprio capovolgimento degli interessi presi in considerazione<br />

dal legislatore del 1942 nel quadro generale del dissesto delle<br />

imprese, ponendo in primo piano, come interesse da tutelare in sé, quello<br />

della conservazione dell’impresa. In primo luogo, infatti, per quanto riguarda<br />

le finalità sanzionatorie del fallimento, gli aspetti maggiormente punitivi<br />

nei confronti dell’imprenditore dissestato, quando non sono venuti meno<br />

per l’intervento della Corte costituzionale, sono in concreto disapplicati<br />

ogni volta che la rigorosa applicazione delle norme che li prevedono comporti<br />

l’inammissibilità del ricorso a procedure concorsuali minori, che consentono<br />

di evitare lo sbocco naturale costituito dalla dichiarazione di fallimento.<br />

Inoltre, la nozione di temporanea difficoltà, presupposto dell’amministrazione<br />

controllata, è stata di fatto dilatata, consentendo il ricorso a tale<br />

procedura quando interessi rilevanti lo richiedono, anche se di fatto l’impresa<br />

versa in un vero e proprio stato di insolvenza.<br />

D’altro canto, i tribunali hanno finito per accedere alle richieste di concordato<br />

preventivo e di amministrazione controllata, avanzata da imprenditori<br />

non colpevoli del dissesto, elevando il requisito della meritevolezza da

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