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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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302<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

tre fattispecie negoziali, animate da scopi altruistici, o volte a tutelare interessi<br />

istituzionali, come quello della famiglia.<br />

14.2.2. Esaminando il problema più da vicino sorge, però, un dubbio ancora<br />

più radicale, perché viene spontaneo domandarsi se l’atto di destinazione,<br />

in se e per se considerato, sia in grado d’arrecare pregiudizio alla massa.<br />

La questione è delicata e non può essere approfondita, come dovrebbe,<br />

in uno scritto volto a dare un quadro d’insieme della materia. Qui si può<br />

solo richiamare l’attenzione sul fatto che non è tanto l’atto di destinazione<br />

dei beni a danneggiare i creditori della società, quanto il modo in cui il patrimonio<br />

separato viene gestito e, soprattutto, il modo in cui le pretese di<br />

certi soggetti vengono trattate, con la conseguenza d’attribuire loro una<br />

prelazione (sul patrimonio destinato), che assomiglia molto – dal punto<br />

di vista pratico – alla concessione di un’ipoteca.<br />

Per rendersene conto basta considerare che il problema neppure si pone,<br />

se si pensa all’ipotesi limite, nella quale la società distacca una parte<br />

dell’attivo (senza collegarvi alcun debito o rapporto in corso d’esecuzione),<br />

ma il fallimento interviene prima che sia iniziata l’attività mirata al<br />

compimento dello specifico affare: in questo caso, infatti, la curatela dovrebbe<br />

limitarsi ad apprendere un compendio patrimoniale rimasto sostanzialmente<br />

inalterato.<br />

La situazione si complica se, assieme all’attivo, viene separata anche una<br />

parte del passivo, o se il patrimonio destinato si fa garante di alcune obbligazioni<br />

della società, in quanto pertinenti all’affare da gestire in maniera<br />

autonoma: come s’è detto, operazioni di questo tipo potrebbero creare<br />

una discriminazione tra le due classi di creditori che, in tal modo, si vengono<br />

a creare.<br />

A ben guardare, però, anche in questa seconda ipotesi si può discutere<br />

se la revoca dell’atto di «segregazione» sia un rimedio adeguato alla bisogna:<br />

innanzi tutto, perché si trascurerebbe il rilievo organizzativo della fattispecie<br />

impugnata (che diventa ancora più evidente quando vi sono apporti di<br />

soggetti estranei alla compagine sociale), con la conseguenza di pregiudicare<br />

i terzi, che hanno fatto incolpevole affidamento sulla capienza del patrimonio<br />

separato; e, poi, perché potrebbe sembrare più semplice ed equo<br />

sottoporre i creditori beneficiati (sempre che sussista una sperequazione,<br />

e sempre che si tratti di soggetti consapevoli dello stato d’insolvenza della<br />

società) al regime previsto per chi ha acquistato un diritto di prelazione<br />

sul patrimonio del debitore, con la conseguenza di rendere applicabili anche<br />

i numeri 3) e 4), del comma 1 dell’art. 67 ( 17 ).<br />

( 17 ) In altri termini, si potrebbe pensare d’assimilare i creditori ammessi a concorrere sul

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