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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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304<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

nute né nel richiamo a voci di bilancio (assolutamente inidonee, nella loro<br />

neutralità, a provare l’assunto di Edizione Holding s.p.a. e significative, al<br />

più, di versamenti fatti a garanzia della serietà dell’offerta) né negli articoli<br />

di stampa e nemmeno nell’informazione riferita attraverso una persona non<br />

certo neutrale quale il Saccardi (dirigente di Edizioni Holding s.p.a. e responsabile<br />

degli affari societari), unica fonte di quelle dichiarazioni attribuite<br />

al Senigaglia che, pur prive di qualsiasi riscontro oggettivo, erano state<br />

singolarmente apprezzate come una confessione.<br />

Venendo al merito, facevano presente che, al più, erano state concluse<br />

semplici opzioni di put e call, condizionate, quanto all’esercizio, al fatto che<br />

lo statuto non recasse più la clausola di prelazione e, come tali, non incidenti,<br />

neppure sul piano obbligatorio, sulla titolarità della partecipazione.<br />

Ne conseguiva che la denuntiatio avrebbe dovuto intervenire nel momento<br />

(che, nell’optione call, era rimessa ad una successiva ed eventuale manifestazione<br />

di volontà di acquistare del titolare del diritto) in cui si fosse<br />

determinata l’effettiva volontà traslativa. Richiederla alla semplice conclusione<br />

dell’opzione significava pretenderne una inutile ed ingiustificata duplicazione<br />

e compulsare la volontà reale delle parti, imponendo al socio<br />

di vendere ora ciò che egli non voleva vendere ora, ma fare oggetto di<br />

una mera facoltà di vendita o di acquisto futura.<br />

Le opzioni, per contro, non consentivano di considerare certa la vendita<br />

perché postulavano il verificarsi della condizione e, ammesso che questa si<br />

fosse verificata, l’ulteriore nuova e necessaria manifestazione di volontà contrattuale<br />

dell’altra parte.<br />

Inoltre, secondo l’impostazione del giudice, e in contrasto con il contenuto<br />

della prelazione, l’esercizio attuale dello stesso non sarebbe avvenuto a<br />

parità di condizioni rispetto al negozio di opzione in quanto, mentre il socio<br />

prelazionario manifesta la volontà di acquistare le azioni, il terzo si riserva<br />

unicamente la facoltà di manifestare in futuro, se lo vorrà, l’intenzione di<br />

acquistare.<br />

Nè la soluzione mutava, come sosteneva controparte, se, invece, di essere<br />

in presenza di mere proposte di opzione, vi fosse stata accettazione delle<br />

stesse in quanto un contratto di opzione, per di più condizionato, non<br />

era, comunque, idoneo a rendere certo il trasferimento della partecipazione.<br />

Aggiungevano che, nell’ipotesi di opzione call, condizionata all’eliminazione<br />

della causa di prelazione, vi era non solo un elemento di sospensività<br />

degli effetti circa la volontà traslativa, ma anche di intuitus personae, che era<br />

ontologicamente incompatibile con la violazione della clausola statutaria.<br />

Ed invero, finché la clausola di prelazione era presente, il socio non era intenzionato<br />

a vendere e, ove essa non vi fosse più stata e il socio avesse potuto<br />

scegliere l’acquirente in base all’intuitus personae, solo allora vi sarebbe<br />

stata l’intenzione di vendere.<br />

Quanto alle condizioni, lamentavano che il giudice di prime cure avesse

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