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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 273<br />

carattere tecnico, anziché accertare, sulla base del proprio libero convincimento,<br />

se la frode esiste davvero, o è solo un’apparenza, creata dalla furbesca<br />

ingenuità delle parti.<br />

Adesso, dato che l’atteggiamento complessivo nei confronti delle revocatorie<br />

è cambiato, si può, forse, sperare in una maggiore attenzione verso<br />

quel tipo di ragionamenti, in modo da impedire che l’esercizio della giurisdizione<br />

venga percepito come un rito formale, sostanzialmente disinteressato<br />

alle istanze di giustizia sostanziale.<br />

7.3. La misura della sproporzione. – Del tutto nuovi sono, invece, i quesiti<br />

posti dall’esigenza di raccordare la norma in esame con il comma 1 dello<br />

stesso articolo di legge, anch’esso modificato dalla riforma. Al riguardo, ci si<br />

deve chiedere infatti se, per escludere l’esenzione de qua, sia sufficiente una<br />

qualsivoglia sproporzione tra il prezzo pagato dall’acquirente ed il valore<br />

dell’immobile venduto dal fallito, o non sia necessario che tale sproporzione<br />

sorpassi la misura del quarto.<br />

Il problema – nato da un difetto di coordinamento tra la disposizione in<br />

esame ed il testo novellato del comma 1 dello stesso articolo di legge (difetto<br />

dovuto, a sua volta, alla stratificazione degli interventi riformatori, compiuti<br />

in tempi e sedi diverse) – forse è meno grave di quanto, ad un primo<br />

sguardo, non possa sembrare: si deve considerare, infatti, che la soglia prevista<br />

dalla disposizione di carattere generale (il citato comma 1) deve essere<br />

calcolata partendo dal prezzo medio di mercato; mentre, se si volesse accertare,<br />

sulla base di criteri autonomi, se il corrispettivo pagato dall’acquirente<br />

è «giusto», si dovrebbe fare riferimento al prezzo minimo di mercato per<br />

immobili d’analoghe caratteristiche.<br />

Sul piano sistematico, tuttavia, la questione è delicata.<br />

7.3.1. Per impostare in maniera corretta l’indagine, è necessario, a<br />

mio sommesso avviso, prendere le mosse da alcuni rilievi di carattere<br />

più generale.<br />

Si deve considerare, infatti, che la disciplina delle revocatorie fallimentari<br />

degli atti a titolo oneroso (contenuta nei primi due commi dell’art. 67)<br />

poggia su due diversi discrimini che, giustapponendosi, danno luogo a tre<br />

distinti gruppi di fattispecie:<br />

a) innanzi tutto, vi sono gli atti normali, che non implicano alcuna scorrettezza<br />

nei confronti del debitore, ma possono risultare scorretti nei confronti<br />

degli altri creditori, qualora chi li compie è consapevole della presumibile<br />

incapienza del patrimonio del debitore: si tratta delle operazioni<br />

elencate nel comma 2 dell’art. 67, che sono assoggettate a revoca, se compiute<br />

nel più breve dei periodi sospetti (ieri un anno, oggi sei mesi), e sempre<br />

che il curatore provi la frode del convenuto;<br />

b) in secondo luogo, vi sono degli atti, che – come i precedenti – non

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