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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 277<br />

tutela nei confronti delle revocatorie, giacché le banche da tempo utilizzavano<br />

i mutui fondiari per fornire nuova finanza all’impresa, approfittando<br />

del fatto che l’esenzione dalla revoca (o meglio: la drastica riduzione del periodo<br />

sospetto a soli dieci giorni dall’iscrizione dell’ipoteca), prevista dalla<br />

legge del 1905 (art. 18 e 24 del R.D. 16 luglio 1905, n. 646), non è stata<br />

mai abrogata, nonostante le profonde trasformazioni subite dal credito fondiario,<br />

tanto sul piano causale (con la Legge n. 492 del 1975), quanto sul<br />

piano dei soggetti abilitati ad erogarlo (con il T.U.B. del 1993).<br />

Non è questa la sede per ripercorrere le tappe del lungo processo evolutivo,<br />

che ha portato dalla vecchia tecnica, incentrata sull’emissione delle<br />

cartelle (con la connessa esigenza di mettere al riparo dalle revocatorie il risparmiatore<br />

anonimo), alla più recente «despecializzazione» della materia,<br />

avvenuta con il testo unico delle leggi bancarie e creditizie.<br />

Qui preme segnalare, invece, come, una volta eliminato ogni limite funzionale<br />

e soggettivo all’erogazione dei predetti prestiti – che risultano caratterizzati,<br />

ormai, solo dall’esigenza di dover essere garantiti (salvo insignificanti<br />

eccezioni) da un’ipoteca di primo grado (art. 38 T.U.B.) – le aziende<br />

di credito li abbiano spesso utilizzati per le già accennate finalità, con un<br />

notevole ristoro per le aziende sottocapitalizzate, che hanno bisogno di crescere<br />

e d’innovarsi.<br />

8.2. Non si deve ritenere, tuttavia, che le esigenze, di cui stiamo parlando,<br />

fossero soddisfatte al meglio dalla mutazione funzionale (un classico<br />

esempio d’eterogenesi dei fini) subita dal credito fondiario: non solo perché<br />

si trattava, comunque, di uno strumento troppo rozzo ed approssimativo,<br />

per rispondere pienamente alla bisogna; ma anche perché gli atteggiamenti<br />

poco lungimiranti di entrambi i protagonisti della vicenda – le banche, da<br />

un lato, i tribunali fallimentari, dall’altro – avevano finito con l’alimentare<br />

un vasto contenzioso, con il risultato di rendere impraticabile questa strada<br />

per il risanamento finanziario dell’impresa.<br />

Per un verso, infatti, le aziende di credito avevano approfittato della<br />

breccia aperta nel sistema revocatorio per compiere operazioni, che nulla<br />

avevano a che vedere con l’erogazione di nuova finanza (volta a favorire<br />

il superamento d’una crisi aziendale), ma servivano solo a procurare una copertura<br />

ipotecaria all’indebitamento pregresso.<br />

Per altro verso, la giurisprudenza – una volta preso atto della mancanza<br />

di una valida giustificazione economica e sociale del privilegio concesso dalla<br />

legge – aveva reagito con eccessiva durezza, revocando tutti i giroconti<br />

interni, con i quali la banca aveva utilizzato il netto ricavo del mutuo ipotecario<br />

per estinguere i rapporti (in chirografo) già esistenti nei confronti<br />

del correntista (per non parlare d’alcuni atteggiamenti ancora più rigorosi,<br />

che revocavano anche l’ipoteca sulla base di una supposta frode alla legge,<br />

con la conseguenza di duplicare la perdita subita dalla banca).

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