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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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526<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

te, ritenga la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa conveniente per i creditori<br />

stessi o più proficua ai fini della collocazione sul mercato dell’azienda o di suoi rami.<br />

Ed è proprio in questo secondo caso che si può cogliere l’aspetto può significativo<br />

dell’innovazione, essendosi qui voluto accentuare che l’istituto, a differenza di quanto<br />

previsto dall’art. 90 del regio decreto del 1942, risponde non più al solo interesse privatistico<br />

di consentire un miglior risultato della liquidazione concorsuale, ma è aperto a<br />

quello pubblicistico di utile conservazione dell’impresa ceduta nella sua integrità oinparte,<br />

sempre che il ceto creditorio non ritenga di trarne nocumento. Difatti, al fine di scongiurare<br />

tale eventualità, è stata mantenuta la previsione del parere favorevole vincolante<br />

del comitato dei creditori per l’autorizzazione alla temporanea continuazione dell’esercizio<br />

dell’impresa.<br />

Sul piano sostanziale, degna di rilievo è la disposizione secondo la quale i contratti pendenti<br />

alla data del fallimento proseguono durante l’esercizio provvisorio, salva la facoltà del<br />

curatore di chiederne lo scioglimento secondo le norme dettate in materia di effetti del fallimento<br />

sui rapporti giuridici pendenti (Sezione IV del Capo II del Titolo II). Le norme in<br />

materia di effetti dal fallimento sui rapporti giuridici pendenti trovano impregiudicata applicazione<br />

anche al momento della cessazione dell’esercizio provvisorio dell’impresa per quei<br />

contratti ancora pendenti alla medesima data.<br />

Al fine di dirimere possibili contrasti, è espressamente previsto che i crediti sorti durante<br />

l’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione nel fallimento.<br />

Art. 104-bis<br />

Legge fallim.<br />

Nel quadro delle nuove esigenze conservative assume una particolare importanza l’istituto<br />

dell’affitto dell’azienda, strumento ormai diffuso nella prassi e pienamente in linea<br />

con un sistema concorsuale caratterizzato da un fine non esclusivamente liquidatorio, ma indirizzato<br />

al recupero delle componenti attive dell’impresa.<br />

In realtà, la prassi giudiziaria, ancora prima della legge n. 223 del 1991 (che, all’art. 7<br />

comma 4, dava per scontata la soluzione positiva), aveva largamente utilizzato questo istituto<br />

come mezzo per la conservazione temporanea dell’integrità dell’azienda, o di suoi rami, anche<br />

nella prospettiva della loro migliore collocazione sul mercato.<br />

La riforma ha inteso recepire questa prassi, colmando tuttavia la lacuna normativa, consistente,<br />

soprattutto, nella più precisa individuazione degli effetti sulla procedura concorsuale<br />

della retrocessione dai terzi affittuari di aziende o di suoi rami. La soluzione, su questo punto,<br />

è stata trovata nella previsione di non «responsabilità del patrimonio acquisito all’attivo per i<br />

debiti maturati sino alla retrocessione», in deroga a quanto stabilito dagli articoli 2112 e 2560<br />

del cod. civ. La deroga trova giustificazione nel bisogno di assicurare che i creditori anteriori,<br />

in funzione della cui tutela l’affitto è stato disposto, non vengano ad essere penalizzati dalla<br />

condotta dissennata dell’affittuario.<br />

Inoltre, sempre in deroga a quanto stabilito dal cod. civ., è stato previsto un contenuto<br />

contrattuale minimo obbligatorio, consistente nell’irrinunciabile diritto di ispezione<br />

dell’azienda da parte del curatore, nella costituzione di una garanzia per tutte le obbligazioni<br />

dell’affittuario derivanti dal contratto e dalla legge, nell’esclusivo diritto del curatore<br />

di recedere unilateralmente previa, soltanto, la corresponsione all’affittuario di un giusto<br />

indennizzo, pagabile in prededuzione. Infine, in presenza delle odierne incertezze interpretative,<br />

una succinta disciplina procedimentale concernente l’esercizio della «prelazione»,<br />

dopo averne ampliato la sfera applicativa con la previsione ulteriore, rispetto al disposto<br />

della legge n. 223 del 1991, che quel diritto può essere concesso all’affittuario anche «convenzionalmente»,<br />

su autorizzazione del giudice delegato, previo parere favorevole del comitato<br />

dei creditori.

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