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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 287<br />

di costo figuravano, certo, quelle finanziarie; ma vi figuravano anche – e con<br />

rilievo preminente – quelle legate al rischio di deperimento fisico e d’obsolescenza<br />

tecnica del bene concesso in godimento, nonché quelle legate al<br />

rischio d’eventuali variazioni del suo valore di mercato (dato che è incerto<br />

se il bene, alla fine del rapporto, verrà acquistato dal concessionario, o sarà<br />

restituito al concedente).<br />

Naturalmente, non mi sfuggiva che il legislatore (basti pensare alle norme<br />

del testo unico bancario, che assoggettano le società dileasing alla vigilanza<br />

della Banca d’Italia; a quelle in materia di usura; o, ancora, a quelle<br />

più recenti in tema di bilancio) si stava muovendo in senso diametralmente<br />

opposto alle mie tesi; non mi sfuggiva che il concedente, nel determinare<br />

l’ammontare dei canoni e del prezzo di riscatto, teneva conto del costo<br />

del denaro a medio o lungo termine; e non mi sfuggiva, infine, che i rapporti<br />

di finanziamento si presentavano, ormai, con una tale molteplicità di varianti,<br />

da rendere possibile (ma forse solo all’apparenza) i più articolati intrecci<br />

tra prestazioni di diversa natura (anche aleatoria o partecipativa).<br />

Nonostante ciò, mi sembrava, tuttavia, che una piena assimilazione del<br />

leasing ai contratti di credito trovasse un ostacolo insormontabile nel fatto<br />

che l’ammontare delle prestazioni, poste a carico dell’utilizzatore, veniva<br />

determinato in maniera globale, senza attribuire alla componente finanziaria<br />

(restituzione del capitale e pagamento degli interessi) alcuna rilevanza<br />

esterna.<br />

In altri termini, mi sembrava che il meccanismo contrattuale – a differenza<br />

di quanto accade nel mutuo, che costituisce l’archetipo dei negozi di<br />

finanziamento – non fosse calibrato sull’esigenza d’assicurare la restituzione<br />

delle somme date in prestito, eventualmente maggiorate di un corrispettivo<br />

commisurato alla durata del rapporto; ma fosse diretto ad assicurare certe<br />

prestazioni reali (il godimento del bene ed il suo eventuale trasferimento),<br />

alle quali facevano fronte altre prestazioni (i canoni, il prezzo del riscatto o,<br />

in alternativa, la restituzione del bene concesso in godimento), che, pur tenendo<br />

conto dei costi e dei rischi insiti nella dilazione, non conferivano loro<br />

alcuna rilevanza sul piano sinallagmatico.<br />

Del resto, la differenza tra i due schemi tipologici messi a confronto –<br />

quello dei contratti di credito, da un lato, e quello dei contratti di scambio<br />

di beni infungibili, dall’altro (tra i quali ultimi avrei annoverato la locazione<br />

finanziaria) – sarebbe risultata a mio avviso evidente, non appena si fosse<br />

considerato che, mentre nel mutuo il meccanismo restitutorio costituisce<br />

l’asse portante del contratto e non tollera deroghe da parte dei privati (al<br />

contrario di quanto accade per la remunerazione della prestazione creditizia,<br />

che può mancare, o può essere ancorata a parametri esterni), nel leasing,<br />

invece, il pagamento dei canoni e la riconsegna del bene potrebbero<br />

non essere sufficienti – sia pure in ipotesi marginali – a garantire il recupero<br />

del capitale investito, con la conseguenza di far assumere al contratto un

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