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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte II - Giurisprudenza 339<br />

fallimentare della norma prevista dall’art. 166 cod. proc. civ., senza alcun<br />

filtro di coordinamento, imporrebbe al convenuto di formulare la domanda<br />

riconvenzionale in un termine addirittura anteriore a quello previsto per<br />

l’attore per costituirsi in giudizio mediante deposito del proprio fascicolo<br />

e documenti: il convenuto potrebbe essere obbligato a spiegare la propria<br />

difesa, anche riconvenzionale, senza avere visto i documenti depositati dalla<br />

controparte.<br />

Per ovviare a questa evidente stortura, ed al vulnus al diritto di difesa<br />

che ne consegue, la giurisprudenza di merito fino ad ora pubblicata e citata<br />

compiutamente dalla difesa del fallimento (Tribunale Monza, 28 gennaio<br />

2003, in Fall. 2003, 1123; Tribunale Monza, 12 febbraio 2001, in Fall.<br />

2002, 183; Tribunale Verona, 19 dicembre 2001, in Fall. 2002, 1341; Tribunale<br />

Bari, 27 maggio 1996, in Corr. Giur., 1997, 943), ha escluso la applicabilità<br />

dell’art. 166 cod. proc. civ. al rito della opposizione ritenendo<br />

che il fallimento convenuto possa costituirsi fino alla udienza ex art. 180<br />

cod. proc. civ. e nel medesimo termine possa esperire azione riconvenzionale;<br />

non manca poi una tesi più garantista delle ragioni del convenuto<br />

che ritiene che questi possa formulare azione riconvenzionale nel termine<br />

di cui all’art. 180 comma 2, cod. proc. civ. (Tribunale Catania, 25 gennaio<br />

2000, in Dir. Fall., 2000, II, 196).<br />

Senza in questa sede approfondire il tema della fondatezza delle due tesi<br />

– approfondimento non necessario ai fini della decisione de quo posto che<br />

le riconvenzionali sono state avanzate in comparsa depositata due giorni<br />

prima della udienza ex art. 180 cod. proc. civ. – può dunque affermarsi<br />

che le azioni spiegate dal fallimento sono tempestive.<br />

Del resto la medesima sentenza della Suprema Corte citata dalla difesa<br />

della banca (Cassazione, 18 dicembre 1990, n. 11989), affrontando il diverso<br />

tema della applicabilità alla impugnazione della sentenza che decide il<br />

giudizio di opposizione della norma prevista dall’art. 326 cod. proc. civ.,<br />

in motivazione afferma il principio secondo il quale le norme del codice<br />

di rito possono avere applicazione al giudizio ex art. 98 legge fallim. solo<br />

in assenza di una disciplina fallimentare espressa e per quanto non fatto oggetto<br />

di espressa deroga: principio che impone, in presenza dell’espresso disposto<br />

di cui all’art. 98 citato, di non poter considerare applicabile la disciplina<br />

generale.<br />

In ordine al secondo rilievo avanzato dalla banca, inerente il rilascio della<br />

autorizzazione del G.D. alla proposizione di domande riconvenzionaii solo<br />

in un momento successivo alla proposizione stessa, per conforme giurisprudenza<br />

di legittimità la mancanza di autorizzazione, al momento della<br />

formulazione della domanda, genera una mera irregolarità sanabile con l’ottenimento<br />

e la produzione della autorizzazione prima della pronuncia della<br />

sentenza (ex plurimis Cassazione, 27 marzo 2003, n. 4555; Cassazione, 20<br />

settembre 2002, n. 13764; Cassazione, 15 maggio 1997, n. 4310).

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