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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 329<br />

rigidità dello schema degli strumenti di liquidazione, la parità di trattamento<br />

dei creditori chirografari, una più ampia possibilità di accordi alternativi<br />

alla procedura fallimentare, sono i profili propri della procedura, rispetto ai<br />

quali è emerso nel dibattito dottrinale e nei progetti di riforma un orientamento<br />

diverso da quello che si ritrova nella legge fallimentare. Queste sono<br />

le tematiche della (ipotesi di) riforma, che propongono una revisione delle<br />

scelte di politica legislativa rispetto al passato.<br />

Al riguardo, però, proprio con riferimento a questi profili, mentre è pienamente<br />

condivisibile la soppressione degli aspetti sanzionatori di natura<br />

personale, in mancanza di fattispecie di rilevanza penale, meno convincente<br />

appare l’ampio spazio di autonomia, di iniziativa e decisionale che viene dato<br />

al curatore ed al comitato dei creditori. Va ricordato che la riforma in<br />

senso opposto, che si ebbe nel 1936 (poi trasferita nella legge fallimentare),<br />

fu imposta dalla «scandalosa» gestione che questi organi facevano della procedura<br />

fallimentare. Né mi pare che l’indole umana e gli «egoismi» utilitaristici<br />

individuali siano mutati: perciò, temo più frequenti (rispetto ad oggi)<br />

rischi in ordine alla correttezza ed alla trasparenza della fase liquidatoria,<br />

nel caso manchi un efficace controllo sul comportamento di quegli organi.<br />

Probabilmente, sarebbe più opportuno conservare al giudice delegato<br />

un’ampia funzione autorizzatoria e di controllo, ma svincolata da predefiniti<br />

procedimenti tipizzati ed obbligatori; peraltro, come si conviene ad un controllo<br />

su di un’attività di tipo economico-gestionale.<br />

C’è, infine, un ulteriore profilo della riforma, che viene sollecitato, non<br />

dall’esigenza di modificare il testo normativo, quanto dall’esigenza di imporre<br />

una modifica all’orientamento della giurisprudenza, che su talune<br />

norme si è andato affermando. Mi riferisco, chiaramente, all’azione revocatoria<br />

fallimentare, la cui «disciplina vivente» è quella costruita dalla giurisprudenza,<br />

sulla base di norme che certamente non presentavano un dato<br />

letterale e sistematico univoco e comunque non disciplinavano specificamente<br />

determinate fattispecie, con la analiticità ed i distinguo che sono stati<br />

imposti sul piano ermeneutico dal diritto giurisprudenziale.<br />

Il severo orientamento della giurisprudenza costituisce, altresì, la sollecitazione<br />

per una disciplina degli accordi stragiudiziali, che oggi, privi di<br />

una regolamentazione, in taluni casi costituiscono callidi strumenti di recupero<br />

preferenziale per taluni creditori (i più forti), talaltra fonte di oltremodo<br />

rigorose sanzioni (oltre che per il debitore) per i creditori, sia sul piano<br />

personale che sul piano patrimoniale.<br />

Infine, un ulteriore tema di discussione è quello dell’area che le singole<br />

procedure concorsuali devono coprire.<br />

Infatti, da una parte, appare necessario definire l’ambito soggettivo di<br />

esclusione dalla procedura concorsuale, dall’altra «assegnare» alle imprese<br />

la procedura più adatta in ragione delle loro dimensioni e della loro natura.<br />

Oggi, e pare che tale stato di fatto non sia destinato a cambiare, una

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