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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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274<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

Nella specie, questo collegio ritiene che sia configurabile l’ipotesi disciplinata<br />

dall’art. 331 c.p.c. (e non quella disciplinata dall’art. 332 c.p.c., invocata<br />

dal controricorrente), posto che, quando l’interventore adesivo dipendente<br />

si inserisce nel processo tra altre persone, il suddetto processo<br />

rimane unico in quanto resta invariato l’oggetto della controversia, pur ampliandosi<br />

il numero dei partecipanti, con la conseguenza che l’intervento ad<br />

adiuvandum determina un’ipotesi di causa inscindibile, atteso che, se è consentito<br />

ad un soggetto intervenire per sostenere le ragioni di una delle parti<br />

in causa, restando unico ed indivisibile il giudizio, si deve necessariamente<br />

configurare un litisconsorzio processuale nei successivi gradi di giudizio,<br />

poiché le ragioni che consentono e giustificano la presenza di parti accessorie<br />

non si esauriscono esclusivamente in un grado, persistendo l’interesse<br />

dell’interventore ad influire con la propria difesa sull’esito della lite (v.<br />

Cass. n. 6760 del 1996), ed atteso altresì che la mancata partecipazione dell’interventore<br />

al giudizio di impugnazione comporterebbe il passaggio in<br />

giudicato della sentenza impugnata nei suoi confronti, con la possibilità (resistita<br />

da tutto il sistema) che, essendo unico il processo, si verifichi un conflitto<br />

di giudicati.<br />

A norma dell’art. 331 c.p.c., pertanto, nella specie andrebbe ordinata<br />

l’integrazione del contraddittorio per consentire la partecipazione del liquidatore<br />

al giudizio di legittimità; tanto, tuttavia, non è necessario, posto che<br />

il suddetto liquidatore si è già ritualmente e tempestivamente costituito nel<br />

presente giudizio depositando controricorso col quale si è compiutamente<br />

difeso in relazione al ricorso avversario.<br />

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dei prin-<br />

zate un litisconsorzio necessario fra il debitore ed il liquidatore, fatta salva l’ipotesi in cui si<br />

tratti di cessione con efficacia traslativa dei beni ai creditori ed immediata esdebitazione dell’imprenditore<br />

per cui si può profilare una legittimazione «solitaria» del liquidatore.<br />

Inoltre la Suprema Corte, dall’osservazione che in virtù della sentenza di omologazione<br />

del concordato con cessione dei beni, si determina una scissione tra titolarità del debito, che<br />

resta all’imprenditore-debitore, e legittimazione all’adempimento dell’obbligazione, cui è tenuto<br />

il liquidatore – il quale deve provvedervi con il ricavato della liquidazione – ha tratto la<br />

deduzione che, essendo l’obbligo del liquidatore di pagare il debito correlato, appunto, alla<br />

qualificazione del debito come concordatario, la pronuncia che accerti il carattere concordatario<br />

di un credito deve necessariamente essere resa in contraddittorio di entrambi i soggetti,<br />

nei cui confronti è destinata ad operare in modo diretto e inscindibile.<br />

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità chiamata a pronunciarsi, in epoca posteriore,<br />

sulla questione della legittimazione passiva del liquidatore in ordine ad azioni giudiziarie intraprese<br />

da terzi, finalizzate all’accertamento di diritti di credito vantati nei confronti dell’imprenditore<br />

assoggettato alla procedura concordataria, ha adottato nuovamente una linea interpretativa<br />

oscillante ed ha proposto soluzioni diverse.<br />

Con alcune pronunce, infatti, si è riconosciuta l’estraneità del liquidatore rispetto alle<br />

controversie promosse per l’accertamento dei crediti nei confronti del debitore ammesso al

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