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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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244<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

Si tratta di mali antichi, che la dottrina addita da tempo e che, di solito,<br />

vengono imputati alla vetustà dell’impianto della legge del ’42, la quale si<br />

attardava ancora in una concezione sanzionatoria del fallimento, mentre trascurava<br />

il problema – davvero cruciale in tutte le economie di tipo industriale<br />

– della conservazione (sia pure a fini liquidativi) dei valori organizzativi<br />

racchiusi nell’azienda, o in suoi singoli rami.<br />

A mio sommesso avviso, tuttavia, vi è un altro aspetto della questione da<br />

tenere presente, sebbene sia passato quasi del tutto inosservato nelle analisi<br />

dei giuristi: la mortalità delle aziende italiane, a confronto del loro numero<br />

complessivo e dei nuovi ingressi, appare inferiore (come segnalano con forza<br />

gli economisti) alla media dei Paesi avanzati. In altri termini: c’è poco<br />

ricambio.<br />

1.1. A prima vista, può sembrare strano che venga indicato come fattore<br />

di crisi un dato statistico – il ridotto numero dei fallimenti – apparentemente<br />

positivo. A ben guardare, però, i due profili (l’inefficienza delle procedure<br />

e la scarsa mortalità delle imprese) sono strettamente collegati: non solo<br />

perché il primo può essere considerato come una delle cause, o concause,<br />

del secondo; ma, soprattutto, perché solo scrutinandoli insieme si vede la<br />

vera dimensione del problema, che consiste nell’aver prodotto una duplice<br />

situazione di «manomorta» aziendale.<br />

Le imprese in crisi, infatti:<br />

a) prima del fallimento, vivono un lungo periodo d’asfissia finanziaria,<br />

dovuta al fatto che il sistema bancario non le fa morire, per paura delle sanzioni<br />

penali (di solito connesse ai tentativi di risanamento andati a male),<br />

oppure per il timore delle revocatorie; ma non le fa neppure sviluppare,<br />

per l’incertezza del recupero delle somme offerte come nuova finanza;<br />

b) dopo il fallimento, danno luogo ad una lunga immobilizzazione di risorse,<br />

perché la liquidazione dell’attivo avviene con sistemi antidiluviani,<br />

con i ritmi dettati dalle regole del processo (ritorna alla mente il ricordo delle<br />

vendite all’asta effettuate col metodo della candela vergine), per le quali<br />

l’accertamento del passivo (e cioè dei «diritti», in funzione dei quali s’attivano<br />

gli strumenti di tutela) dovrebbe «logicamente» precedere ogni tentativo<br />

di sistemazione della crisi (sia esso costituito da un concordato o da una<br />

semplice cessione di compendi aziendali).<br />

1.2. Sul secondo punto, Floriano d’Alessandro ha di recente compiuto,<br />

da par suo, una finissima analisi, spiegandoci che è stato possibile accantonare<br />

per così tanti anni il problema, solo perché le crisi delle imprese<br />

medio-grandi non venivano risolte con le procedure concorsuali di diritto<br />

comune, bensì con interventi di natura pubblicistica o con procedure di carattere<br />

amministrativo (le varie «Prodi»); che la strada dell’assorbimento<br />

delle aziende insolventi nel grande calderone delle partecipazioni statali,

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