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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Parte I - Dottrina 305<br />

di negare l’applicazione delle norme fallimentari a tutela della parità di<br />

trattamento, nel pieno rispetto, naturalmente, della divisione dell’attivo<br />

per masse (con la conseguenza che il risultato utile della revoca del pagamento<br />

di un creditore particolare del patrimonio destinato deve affluire nel<br />

patrimonio medesimo); c) selasocietàèinsolvente, ma il patrimonio destinato<br />

è in grado di soddisfare tutte le pretese sorte per lo specifico affare,<br />

non v’è ragione di revocare i pagamenti e le concessioni di garanzie riferibili<br />

alle predette pretese, perché tali atti non hanno arrecato un pregiudizio<br />

giuridicamente rilevante, né ai creditori pari ordinati (che, in ipotesi, data<br />

la consistenza del patrimonio autonomo, dovrebbero essere comunque<br />

soddisfatti per intero), né ai creditori generici della società, che verrebbero<br />

in ogni caso postergati.<br />

14.4. Su queste basi, non è difficile intendere il significato delle disposizioni,<br />

in tema di revocatoria, contenute nell’art. 67-bis. Come si è detto, gli<br />

enunciati normativi dotati di una specifica rilevanza sono, in buona sostanza,<br />

solo due: la precisazione che l’atto deve aver arrecato danno alla società;<br />

la precisazione che il terzo – se era consapevole dello stato d’insolvenza della<br />

società – non può trincerarsi, per sfuggire alla revocatoria, dietro l’assunto<br />

che il patrimonio destinato era sufficiente a soddisfare tutte le obbligazioni<br />

sorte dallo specifico affare.<br />

14.4.1. Per quanto concerne il primo punto, è evidente che il legislatore<br />

non ha inteso porre una deroga ad un supposto principio generale, di segno<br />

contrario: non ha voluto dire, cioè, che qui «eccezionalmente» si terrebbe<br />

conto del danno arrecato dall’atto, mentre negli altri casi tale elemento sarebbe<br />

del tutto ininfluente.<br />

Le preoccupazioni del conditor legis erano diverse: egli ha voluto semplicemente<br />

richiamare l’attenzione sul fatto che certe tipologie di atti (tra i<br />

quali i pagamenti e le garanzie, di cui dianzi si è parlato) non possono essere<br />

revocati, in quanto non arrecano alcun pregiudizio alla società.<br />

Volendo esprimere lo stesso concetto in termini più generali (e forse più<br />

esatti), si potrebbe dire che il legislatore ha voluto segnalare l’esigenza di<br />

tenere conto dell’autonomia delle varie masse patrimoniali, lasciando all’interprete<br />

il compito di specificare in quali fattispecie si deve negare l’esistenza<br />

di in danno giuridicamente rilevante.<br />

Il problema mi sembra di facile e sicura soluzione per i casi di cui fin qui<br />

si è trattato (v. supra, n. 14.3.1., per gli atti anomali; e n. 14.3.2., lettere b e c<br />

per i pagamenti e le garanzie).<br />

Qualche dubbio può sorgere, invece, per gli atti d’ordinaria gestione,<br />

perché si potrebbe osservare che lo «specifico affare» ha una propria dinamica,<br />

da salvaguardare anche quando la società, che lo gestisce, diventata<br />

insolvente. Qualora si volesse tenere conto di questa esigenza, si potrebbe

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