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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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246<br />

Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

per fare un esempio, mi limiterò ad osservare che le procedure d’allerta potrebbero,<br />

sì, avere un effetto anticipatorio e profilattico nell’aggredire la crisi;<br />

ma potrebbero anche avere l’effetto contrario, di lasciar sopravvivere,<br />

con lo scudo dell’autorità giudiziaria (un po’ com’è avvenuto, da noi, per<br />

l’amministrazione controllata), certe aziende sostanzialmente decotte, ma<br />

particolarmente rilevanti (o ritenute tali) sul piano occupazionale.<br />

In assenza delle accennate evidenze empiriche, è difficile esprimere un’opinione<br />

motivata al riguardo. Il discorso, invece, mi sembra sostanzialmente<br />

diverso per quanto concerne le revocatorie, giacché l’esperienza di questi ultimi<br />

anni insegna che un eccessivo rigore, nella dichiarazione d’inefficacia di<br />

certi atti (il pensiero, naturalmente, corre alle rimesse in conto corrente, ma<br />

sarebbe necessario aggiungere la revoca delle garanzie contestuali al sorgere<br />

del credito), è stato controproducente, ai fini di una tempestiva attivazione<br />

delle procedure concorsuali, perché ha indotto alcune classi di creditori<br />

(ed in particolare le banche) a considerare il rimedio peggiore del male e,<br />

cioè, a rifuggire dal fallimento (anche in presenza di debitori morosi, ormai<br />

sordi ad ogni sollecitazione ad adempiere), pur di non mettere in moto un<br />

meccanismo, del quale non si è in grado di governare gli effetti.<br />

1.5. Ora, si può anche comprendere che il debitore cerchi di sfuggire<br />

alla dichiarazione d’insolvenza, in quanto il provvedimento del giudice lo<br />

priva dell’intero patrimonio e lo estromette dalla direzione dei suoi affari<br />

(a dire il vero, il legislatore ha fatto di tutto, per invogliare il debitore all’autodenuncia,<br />

eliminando molte conseguenze personali del fallimento ed introducendo<br />

l’istituto dell’esdebitazione; forse, però, i passi compiuti in tale<br />

direzione dalla riforma restano ancora troppo timidi per conseguire l’effetto<br />

sperato).<br />

Appare paradossale, invece, che facciano altrettanto i creditori finanziari,<br />

anche perché, se essi recalcitrano di fronte alla dichiarazione di fallimento,<br />

diventa francamente difficile aprire il concorso con la necessaria<br />

tempestività.<br />

Non si può pensare, infatti, che in loro vece s’attivino i piccoli creditori,<br />

per il semplicissimo motivo che costoro, proprio per l’esiguità delle<br />

loro pretese, sono portati ad assumere un atteggiamento di «inerzia razionale»,<br />

fondata, del resto, sull’esperienza che ogni loro iniziativa può essere<br />

vanificata (magari con un intervento finanziario di modeste dimensioni),<br />

qualora i creditori forti abbiano interesse a procrastinare la dichiarazione<br />

d’insolvenza.<br />

1.6. Tenendo conto di quanto fin qui si è detto, non può certo meravigliare<br />

se uno dei primi obbiettivi della riforma sia stato proprio quello d’attenuare<br />

il rigore del sistema revocatorio ammannito dalla legge del ’42.<br />

In tale direzione, infatti, spingevano molti fattori: innanzi tutto, la pres-

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