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IL DIRITTO FALLIMENTARE - Cedam

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Il diritto fallimentare delle società commerciali<br />

ne, 8 maggio 1991, n. 5123, id., 1992, I, 817; Tribunale Milano, 19 marzo<br />

1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 499);<br />

— l’annullamento delle delibere assembleari e consiliari assunte (Tribunale<br />

Palermo, 5 maggio 1992, ibid., n. 500);<br />

— la responsabilità della controllante verso i creditori della controllata<br />

(Appello Milano, 21 gennaio 1994, id., 1995, I, 1001) nonché<br />

— verso la controllata stessa ed i soci di minoranza (Tribunale Orvieto,<br />

4 novembre 1987, id., Rep. 1988, voce cit., n. 605).<br />

Il codice prevede(va) come forma di esercizio collettivo dell’impresa<br />

soltanto la società singola, dettando una serie di norme che non sono conciliabili<br />

col gruppo. In tale prospettiva, l’interesse di gruppo si configura come<br />

istanza di mero fatto, senz’altro recessiva rispetto alla tutela apprestata<br />

dalla legge all’interesse sociale delle singole componenti (Tribunale Milano,<br />

2 marzo 1995, in Giur. it. 1995, I, 2, 706).<br />

Queste considerazioni non erano smentite, prima, dalle numerose leggi<br />

speciali che fanno riferimento al controllo, le quali disciplinano aspetti diversi<br />

dal problema centrale posto dai gruppi, quello della tutela delle minoranze<br />

e dei creditori. Anche la l. 3 aprile 1979, n. 95 assume «la direzione<br />

qualificanti del fenomeno «gruppo» nella direzione economica unitaria di una pluralità di società<br />

che mantengono la loro autonomia, per cui il gruppo, pur costituendo una impresa unica,<br />

«non diventa un unico soggetto di diritto ( 27 ).<br />

Viene riconosciuta, quindi, la legittimità di operazioni che perseguono interessi di gruppo,<br />

purché, però, tali operazioni non contrastino con gli interessi della singola società che li<br />

compie sino al punto di recarle pregiudizio e sempre che «le relazioni privilegiate non si traducano<br />

in scelte che non trovano altra giustificazione che quella di favorire la capogruppo a<br />

danno della società controllata».<br />

In definitiva, perché scatti la tutela degli interessi che alle singole società fan capo, è necessaria<br />

non solo la potenzialità del conflitto d’interessi, ma anche l’effettività del conflitto<br />

idoneo a causare danno alla società ( 28 ).<br />

Ragionando nei termini predetti, considerato che la società inserita in una aggregazione<br />

più vasta «viene non di rado a conseguire dei vantaggi che la compensano dei pregiudizi subiti<br />

per effetto di altre operazioni» ( 29 ), si è ammessa «la possibilità che una società controllata<br />

assuma obbligazioni a favore di altra società del gruppo o della stessa controllante-capogruppo...<br />

salva l’ipotesi in cui» l’impegno assunto «non rappresenti, per la società medesima,<br />

un vantaggio neppure mediato o riflesso». In tal modo la Suprema Corte già aveva fatto proprio<br />

il criterio di valutazione dei cd. vantaggi compensativi e cioè dei vantaggi sul piano organizzativo,<br />

produttivo, commerciale e finanziario che derivano dalla strutturazione dell’im-<br />

( 27 ) Cassazione civ., 26 febbraio 1990, n. 1439 Lamanna Filippo in Il Fallimento n. 5, anno 1990, pag. 495.<br />

( 28 ) Cassazione civ., 13 febbraio 1992, n. 1759, in Giur. comm. 1993, II, 502; Cassazione civ., 5 febbraio<br />

1990, n. 1439 inedita.<br />

( 29 ) Cassazione civ., 11 marzo 1996, n. 2001, cit.

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