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DOTTORATO DI RICERCA - Departamento de Geografia

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quali che fossero i compromessi o le formule escogitate per conservare il proprio stato, la<br />

propria influenza e persino il potere politico. E inoltre, era inevitabile che l’infusione di una<br />

coscienza politica e di un’attività politica permanente nelle masse, che era la gran<strong>de</strong> eredità<br />

lasciata dalla Rivoluzione Francese, dovesse prima o poi significare che queste masse<br />

avrebbero avuto la loro parte ufficiale nella politica” (HOBSBAWM, 1988:415).<br />

Tutto ciò bastava per far crescere, in tutta l’Europa, la coscienza di una imminente<br />

rivoluzione sociale presente tra tutti i segmenti <strong>de</strong>lla società: tra i rivoluzionari, tra le classi<br />

governanti e anche tra le masse povere. E questo perché la crisi di ciò che era rimasto<br />

<strong>de</strong>lla vecchia società sembrava coinci<strong>de</strong>re con la crisi di quella nuova. Inoltre, tra il 1830 e<br />

il 1840 non sembrava “che la nuova economia dovesse o potesse superare le difficoltà che<br />

pareva andassero sempre crescendo con la capacità di produrre quantitativi sempre maggiori<br />

di merci con metodi sempre più rivoluzionari. Gli stessi teorici erano assillati dallo spettro<br />

<strong>de</strong>llo «stato stazionario», cioè di un esaurimento <strong>de</strong>lla forza motrice che animava il progresso<br />

<strong>de</strong>ll’economia, che (…) essi consi<strong>de</strong>ravano come un pericolo imminente e non semplicemente<br />

come una prospettiva storica” (HOBSBAWM, 1988:416).<br />

Nel 1841-42 sembrava ai capitalisti che l’industria corresse il pericolo di uno<br />

strangolamento generale che l’avrebbe portata al collasso. “Per le masse popolari, il<br />

problema era ancora più semplice. (…) [Le] loro condizioni nelle grandi città e nelle zone<br />

industriali <strong>de</strong>ll’Europa occi<strong>de</strong>ntale e centrale le spingevano inevitabilmente verso la<br />

rivoluzione sociale. (…)<br />

Era questo lo «spettro <strong>de</strong>l comunismo» che incombeva l’Europa, la paura <strong>de</strong>l<br />

«proletariato» (…). E giustamente. Perché la rivoluzione che scoppiò nei primi mesi <strong>de</strong>l 1848<br />

non fu una rivoluzione sociale solo nel senso che coinvolse e mobilitò tutte le classi sociali.<br />

Essa fu né più né meno che l’insurrezione <strong>de</strong>lle classi lavoratrici di tutte le città – e<br />

specialmente <strong>de</strong>lle capitali – <strong>de</strong>ll’Europa occi<strong>de</strong>ntale e centrale. Fu la loro forza, e quasi da<br />

sola, a rovesciare gli antichi regimi (…). E dalla polvere <strong>de</strong>lle loro rovine, i lavoratori (…) si<br />

levarono a domandare non solo pane e lavoro, ma un nuovo stato e una nuova società”<br />

(HOBSBAWM, 1988:417). Mentre i lavoratori poveri si agitavano, il mondo <strong>de</strong>i ricchi e<br />

influenti si ve<strong>de</strong>va davanti una crisi senza prece<strong>de</strong>nti.<br />

La crisi nella politica <strong>de</strong>lla classe governante “coincise con una catastrofe sociale: la<br />

gran<strong>de</strong> carestia che dilagò in tutto il continente dal 1845 in poi. Il raccolto (…) era<br />

scarsissimo; intere popolazioni (…) morivano di fame (…). La crisi industriale moltiplicava la<br />

disoccupazione, e le masse lavoratrici venivano private <strong>de</strong>l loro mo<strong>de</strong>sto reddito proprio nel<br />

momento in cui il costo <strong>de</strong>lla vita saliva alle stelle. (…) Fortunatamente per i regimi esistenti,<br />

le popolazioni più misere (…) erano anche politicamente tra le più immature (…). Ma (…) la<br />

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