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DOTTORATO DI RICERCA - Departamento de Geografia

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sono i prodotti “storici e locali” quelli ammessi sull’Arca. E questo non solo per l’Italia ma<br />

per tutto il mondo grazie all’azione <strong>de</strong>lle Convivia (le Condotte) Slow Food sparse per i<br />

cinque continenti e che cercano di promuovere un gran<strong>de</strong> censimento <strong>de</strong>lla piccola<br />

produzione agroalimentare di qualità, intesa come patrimonio da salvaguardare e<br />

valorizzare. Da quando il progetto è partito, la Commissione scientifica ha censito e<br />

catalogato circa 450 prodotti solo in Italia con i requisiti necessari per salire sull’Arca:<br />

territorialità, tradizionalità, piccola quantità, eccellenza gastronomica. A titolo di esempio<br />

ci sono due prodotti che sono stati portati sull’Arca nel mondo: l’uva Dabuki e il riso<br />

indiano.<br />

L’uva Dabuki, presente nei terroir 337 israeliani, è stata portata a quanto pare dagli<br />

ebrei yemeniti immigrati in Israele all’inizio <strong>de</strong>l Novecento. Le viti sono state messe a<br />

coltivazione nella bassa zona di Samson, a est di Gerusalemme, però senza successo,<br />

facendo sì che esse venissero utilizzate soltanto per distillare un arak fortemente alcolico,<br />

la cui produzione è stata posteriormente proibita. Attualmente queste uve sono coltivate<br />

in molti cortili interni e giardini <strong>de</strong>l quartiere yemenita Neve Tse<strong>de</strong>k (l’Oasi <strong>de</strong>lla<br />

Giustizia), vicino alla spiaggia al confine con Jaffa, e in un quartiere contiguo a Tse<strong>de</strong>k,<br />

chiamato Kerem Ha’Temanim, dove le Dabuki crescono rigogliose 338 . Il liquore continua<br />

a essere prodotto in qualche distilleria casalinga clan<strong>de</strong>stina e consumato soltanto “dietro<br />

il balcone”.<br />

Secondo COOKLIN, l’uva Dabuki “nelle mani giuste (…) può dare vita a qualche<br />

meraviglioso bianco secchissimo o a un succulento rosé. Ha una fantastica buccia spessa<br />

puntinata, gli aromi e il sapore sono ricchi di note mediorientali di miele, gelsomino, timo<br />

selvatico e di montagna, cannella e zenzero. (…) I suoi aromi non <strong>de</strong>vono nulla all’intervento<br />

<strong>de</strong>ll’uomo, sono solo l’espressione più pura ed eccitante <strong>de</strong>l terroir” (COOKLIN, 2001:121).<br />

Difficile immaginare, secondo lei, un’uva più israelita.<br />

L’altro esempio di prodotto salito sull’Arca è il riso indiano, “una pianta acquatica<br />

(Zizania acquatica) che cresce sulle spon<strong>de</strong> <strong>de</strong>i laghi e <strong>de</strong>i fiumi, [e che] è stato un cibo sacro ed<br />

essenziale per molti nordamericani nativi <strong>de</strong>l Minnesota, <strong>de</strong>l Wisconsin e di alcune zone <strong>de</strong>l<br />

Canada” (BOWMAN & LAVINE, 2001:122). I LAVINE – soci Slow Food attivi sul<br />

337 COOKLIN richiama l’attenzione sul fatto che il terroir resta tuttora da <strong>de</strong>finire e che addirittura in<br />

ebraico non esista “un termine che comprenda il terreno, il clima e le caratteristiche geografiche”<br />

(COOKLIN, 2001:120).<br />

338 “A quanto pare, le viti venivano piantate in ogni zolla di terra di Tel Aviv perché nel periodo in cui in<br />

Palestina (così era chiamata allora Israele) regnarono i turchi ottomani (1516-1917), ogni centimetro di<br />

terreno visibile non utilizzato a fini agricoli veniva pesantemente tassato. Tutto ciò che i poveri yemeniti<br />

posse<strong>de</strong>vano erano le viti, sicché le piantarono ovunque per non pagare imposte ai turchi. «Da ciò <strong>de</strong>riva<br />

il nome di questo quartiere (…) Kerem Ha’Temanim», il vigneto <strong>de</strong>gli yemeniti” (COOKLIN,<br />

2001:121).<br />

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