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DOTTORATO DI RICERCA - Departamento de Geografia

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Istambul <strong>de</strong>l 1996, dove, attraverso l’Agenda Habitat II, si è cercato di mettere in moto<br />

un’altra concezione di partecipazione e cittadinanza, stimolando processi di <strong>de</strong>mocrazia<br />

diretta e associazionismo con l’obiettivo di creare azioni atte a dare origine a uno sviluppo<br />

endogeno top down.<br />

Da questo quadro emergono alcune caratteristiche discriminanti <strong>de</strong>llo sviluppo<br />

autosostenibile. Esso <strong>de</strong>ve essere formulato e gestito dai suoi partecipanti, e cioè <strong>de</strong>ve tener<br />

conto <strong>de</strong>lle necessità <strong>de</strong>lla comunità (basic needs), essere allo stesso tempo endogeno –<br />

promosso e gestito dalla comunità locale (self-reliance) – e in grado di dialogare con<br />

l’ambiente esterno e così di valutare il suo impatto sull’ambiente e di pensare a nuove<br />

strategie di azioni qualora si rendano necessarie (ecosviluppo). In più, tutta questa<br />

discussione ha fatto emergere anche la necessità di privilegiare la dimensione locale <strong>de</strong>llo<br />

sviluppo in quanto quella dove si può agire in una forma più concreta ed efficace,<br />

inten<strong>de</strong>ndo il territorio come un patrimonio da valorizzare, aumentando la ricchezza e<br />

mettendo in moto il processo di riterritorializzazione, consi<strong>de</strong>razioni queste che danno<br />

origine al concetto di sviluppo locale autosostenibile.<br />

Tutti questi concetti che insieme costituiscono quello <strong>de</strong>ll’autosostenibilità altro non<br />

sono che la ripresa <strong>de</strong>lle proposte anarchiche <strong>de</strong>ll’autogestione (self-reliance), <strong>de</strong>lla ricerca<br />

<strong>de</strong>lla soddisfazione <strong>de</strong>i bisogni <strong>de</strong>lla popolazione (basic needs), e <strong>de</strong>lla necessità di<br />

consi<strong>de</strong>rare la terra come un patrimonio comune, di cui disporre a vantaggio di<br />

tutti e di ciascuno (ecosviluppo), <strong>de</strong>lla necessità di cercare di integrare le attività agricole<br />

a quelle industriali a base locale – come proposto da KROPOTKIN nel suo Campi,<br />

fabbriche, officine, soprattutto nel capitolo Piccole industrie e villaggi industriali, come si<br />

può verificare dalla lettura <strong>de</strong>ll’ALLEGATO N° 1–, cercando così di chiu<strong>de</strong>re il ciclo<br />

ecologico e di costruire le filiere ecologiche e, per quanto possibile, raggiungere<br />

l’autosufficienza 445 . Ed è in uno scenario dove la crescita economica non è più sinonimo<br />

di crescita di ricchezza e dove il territorio viene consi<strong>de</strong>rato come un patrimonio da<br />

valorizzare, a partire dai suoi abitanti/produttori che lo costruiscono giorno dopo giorno<br />

che tale concetto è riemerso.<br />

La messa in pratica anche di questa «nuova utopia» <strong>de</strong>llo sviluppo locale<br />

autosostenibile richie<strong>de</strong> ugualmente che ci siano soggetti atti ad agire, quelli che<br />

MAGNAGHI ha chiamato “gli attori <strong>de</strong>l cambiamento”. Tali attori ci sono già e le loro<br />

445 KROPOTKIN difese questa i<strong>de</strong>a nel suo Campi, fabbriche, officine pensando all’autosufficienza<br />

all’interno di uno stesso paese. Tale autosufficienza sarebbe stata raggiunta, secondo lui, con la<br />

diversificazione <strong>de</strong>lla produzione, con l’integrazione tra attività agricola e industriale e con il<br />

PRIMATO <strong>de</strong>l mercato interno anziché di quello esterno. Attualmente, la ricerca<br />

<strong>de</strong>ll’autosufficienza si trova presente in alcune <strong>de</strong>lle esperienze <strong>de</strong>gli ecovillaggi come si è trattato<br />

nell’ottavo capitolo.<br />

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