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storia dell'isola d'ischia giuseppe d'ascia - La Rassegna d'Ischia

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dove, innanzi di mettere alla vela per la conquista della Sicilia, volle promessa di fedeltà da quegli abitanti.Così ebbe termine la dinastia Normanna che diede cinque re, e per lo giro di anni sessantaquattropadroneggiò anche l’isola d’Ischia-----------Ai Normanni successero gli Svevi, a stranieri, stranieri avoltoi che correvano a depredare queste terreche Dio le avea abbellite del suo sorriso.L’imperatore Errico VI tenne a se soggetta quest’isola per anni tre, a lui successe il figlio Federico;questi ebbe un lungo regno di anni 53. Questo principe al cominciare del decimo terzo secolo dovettesostenere guerra coll’imperatore Ottone IV, e quest’isola gli diè prova di fedeltà e di bravura (105).(Anno 1228) Regnando lo stesso Federico II verso l’anno 1228 un terribile tremuoto scosse Ischiadalle sue fondamenta e circa settecento abitanti, si vuole, che rimanessero vittime di quella catastrofe(106).Avvenuta la morte di Federico in età di anni cinquantasei, al 13 dicembre 1250, il dominio passò aCorrado che lo tenne per anni quattro, e col suo testamento lo trasferiva a Corradino figliuolo di lui, chedi età minore venia rappresentato dal tutore Manfredi (1254). Questi governò dodici anni, fino a quandodisfatto, per tradimento e fellonia di coloro che avea tanto beneficati là, nelle pianure di Benevento,addì 27 febbraio 1265, spegneva con lui la dinastia Sveva dopo 72 anni di dominio (107).Cuor di Leone di ritorno dalla Palestina, avendo fatto naufragio sulle coste della Dalmazia, riparò in sulle terre diLeopoldo,, duca d’Austria, il quale, in disprezzo d’ogni legge divina ed umana, l’avvinse in ceppi, e’l vendè comeschiavo ad Arrigo VI, che lo rivendè con considerabile guadagno».105) V. Ammirato Delle Famig. nobil napol. p. 109.106) Capecelatro Stor. della Città di Napoli tom. I. pag. 281. Part. II.107) Poi disse sorridendo; I’son ManfrediNipote di Costanza imperatrice;Ond’i ti prego che quando tu riedi,Vai a mia bella figlia, genitriceDell’onor di Cicilia e d’Aragona,E dichi a lei il ver, s’altro si dice.Poscia ch’i ebbi rotta la personaDi duo punte mortali, i’mi rendeiPiangendo a quei, che volentier perdona.Orribil furono li peccati miei;Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,34

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