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storia dell'isola d'ischia giuseppe d'ascia - La Rassegna d'Ischia

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Gl’isolani in due o tre anni avevano riparato in parte i profondi segni di crudeltà rimasti dagli agenti diCarlo d’Angiò; ma colmarli in tutto v’eran bisogno di lustri.Pututtavolta le campagne si erano piuttosto rimesse nell’antico coltivo; mentre ricchi di seminatisi presentavano i campi: tapezzate di verdure si spiegavano quelle colline, ombreggiate da modestimonticelli: odorosi e lussureggianti apparivano quei giardini coverti da piante di aranci e di cedri, i cuiorgogliosi ramoscelli erano sbucciati dai mutilati tronchi: simmetricamente eransi segnati quei vialispalleggiati da gelsi (112), quelle pianure incrociate da pergolati; e fra questa ringiovinita vegetazionesorgevano appunto le novelle ville ed i ripiantati casolari.L’opera di riparazione si era precipuamente consacrata nel punto, che una novella vulcanica eruzioneandava minacciando.L’isola parea volersi quivi riconcentrare perché offriva più vasta estensione di pianure, più capacità dilidi, e di piagge per la navigazione; sito ch’era dell’isola il più prossimo alla terraferma di Cuma, Baia,Pozzuoli, Napoli, e dell’isola di Procida, coi quali punti attivo commercio si manteneva.Quindi la città degl’ischitani, il punto di diporto, la sede de’ villeggianti, il soggiorno degli agiati cittadinidel napoletano, era appunto quel tratto di terra, che l’eruzione del Cremato venne a trasformarein luogo di desolazione e di pianto, covrendolo tutto di correnti pomicee, di nere scorie, senza risparmiarneavanzo, senza farne sfuggire lembo.Così l’isola rimase un’altra fiata sconvolta e disabitata, dopo di essere stata per due mesi vittima dicommozioni orribili e d’espulsioni infernali (113).Tutti gli scampati fuggirono verso Pozzuoli, Sorrento, Capri, Procida, e lì andarono, infelici, a stenderla mano da porta in porta, ed a versare il loro amaro sudore nei campi di alieni padroni, per tirare innanzila vita.Calmati dopo qualche tempo gli adirati elementi, e l’indomabile forza della produzione spuntando atraverso la cenere, ed i lapilli, che l’isola covrivano, principiarono ad accostarsi i fuggitivi, ed a ritirarsisu quella terra che credevano non doverli più accogliere. Ciò avvenne nel 1305.Potenza di amor di patria, che ostina l’uomo a sprezzar morte, perigli, sventure, e consacra in questoessere, dotato di un raggio di divinità, il sentimento di religione e di sovraumano affetto per quellazolla ove riposano le ossa de’ suoi antenati, per quella cella ov’egli nacque, per quella pietra ove nella112) Vedi note 68 a 71 della prima parte di questa Storia.113) «Evvi in essa (Ischia) un vulcano detto Epomeo, il quale si estinse nel 1302. Eppure la sua arsa superficie ècoperta di carbon fossile, e ad ogni vegetazione è negata, quella vegetazione che fa così bella e ridente quell’isola,da spingersi ad amare la campestre vita che di tanto incanto hanno sparso i versi di Virgilio o di Gesner» – Storiadei Monum. delle Due Sic. Introd. Vol. I. pag. 252.38

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