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storia dell'isola d'ischia giuseppe d'ascia - La Rassegna d'Ischia

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Florida, ricca, felice in pochi anni la colonia divenne, in un’isola propizia al loro genio, alle loro abitudinialle intraprese loro.--------------Erano già scorsi circa cinque secoli da che gli Eritresi e loro discendenti occupavano queste terre.Cresciuti e moltiplicati, eransi sparsi per le colline e spiagge del lato settentrionale, fabbricando città- e per conseguenza tempi e delubri ai loro numi - santificando antri e grotte, credute abitate da fatidichevergini.Ingranditi di numero, di forze, e di mezzi; paghi e tranquilli ne approfittavano in sì prospero e fertilesuolo.Ma il giorno della sventura arrivò, ed arrivò tremendo, terribile: loro piombò dalle spalle per dissiparee distruggere quanto, per lo giro di tanti anni, e con assidue cure e travagli, si avevano accumulato.Cominciò il mare a dare i primi segni della catastrofe, che attendea quei miseri, e per vari giorni -come da interne commozioni tormentato - coi suoi neri cavalloni parea inondare la città; mentre aura divento non spirava, e la natura sembrava aver sospeso in aria il suo moto, covrendosi di gramaglia.Gli augelli, senza più posarsi su quelle colline incantate, scuotendo i vanni ne fuggivano, e coi lorogridi spaventevoli profetizzavano il dì della sventura, a cui facevano eco i domestici animali, senzapoterne annunziare la triste cagione.Il cielo era fatto di bronzo: grave un’atmosfera, pregna di pesanti vapori facea quasi mancare il respiro:i ruscelli e le sorgenti di fresche acque disseccati: i caldi fonti termali stridoli - bollenti così, comeosservasi alimenta il fondo di un caldaio, che appena contiene poche gocce di liquido umore.Anche il mare dopo pochi giorni di burrasca erasi ritirato dai suoi ordinari confini.Un cupo rumore, come di tuono lontano, si sentia rimbombare nelle ime profondità delle caverne;dalle quali, di giorno un ingrato odore, come di solfo si spandea da per tutto e di notte si vedea uscireuna fiamma fosco-sanguigna, come meteora o lampo fugace.A questi tristi ed apparenti fenomeni, si accoppiò il terrore che invase i coloni; essi si affacendarononel trovar modo come placare i creduti sdegnati loro numi, offrendo sacrifici al loro Ercole (28); voti edincensi al sommo Giove, onde frenasse coi suoi fulmini le ire ed i fremiti disordinati dell’adirato Tifeo(29) che colle sue cento teste, parea bruscamente scuotersi sul suo letto di fuoco nel centro dell’isola(30).28) «Esiste un monumento delle suddette colonie greche ed è il loro nume, che gli Eretriesi fuggiti forse in frettaquando abbandonarono l’isola spaventati dai continui terremoti, non ebbero tempo d’imbarcare. Questo è unsimulacro bipalmare di marmo bianco fra tanti che dovevano rappresentare Ercole: da qualche tempo è statoscavato nella terra del <strong>La</strong>cco ecc. ecc.» – Siano parte II pag. 55 n. 429) Si disse Tifeo il fuoco sotterraneo che alimentava i vulcani, sparsi pel mediterraneo, e che avea 100 teste,10

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