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storia dell'isola d'ischia giuseppe d'ascia - La Rassegna d'Ischia

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Moltissimi animali perirono, molte superbe ville furono arse; questo flagello durò due mesi e produsseuna novella emigrazione de’ fortunati superstiti, e di coloro ch’ebbero la ventura di trovare i mezzi discampo.<strong>La</strong> lava si estese sopra un’estensione di circa 3 chilometri e 700 m. di lunghezza fino al lido del mareed 1 chilometro di larghezza (71).Un tale ammasso spaventoso di corrente vulcanica detto l’Arso o Cremato confina verso il lato destroalle campagne di Fiaiano e Pieo, un poco al di sotto della prima arcata dell’acquedotto; in dove si puòscorgere interamente la sua bocca o cratere, la quale ha una circonferenza di circa 2 chilometri.Se ti aggiri fra quei massi neri e mutoli, ove la mano incallita dell’adusto agricoltore ha principiato dagran tempo l’opera di dissodamento, inaffiandola col suo sudore, una malinconia ti assale e ti spingealla più profonda meditazione.Il fuoco rese questo suolo incolto, inospitale, ed orrido; l’industria agricola, la perseveranza del contadino,e la speculazione dell’isolano, gli sta facendo guerra; debellando la tenacità di quei massi, strappandoquella contrada dagli artigli della desolazione, dandola in braccia al genio della produzione.In conchiusione, l’industria degl’ischitani, ricollocò la fertilità, ricostruì parte di una città, ove la naturairata avea stampata la distruzione e la morte (72).(71) Olim sub Carulo II anno 1301 exiit e terrae venis ignis sulphureus, qui magnam ipsius Insulae partemcompussit. Ex quo igne multi homines et quamplurima animalia perierunt: duobus fere mensibus devoravitincendium. Multi et illis derelicta insula ad Protichyten, Capreas, Baias, Puteolos, et Neapolim confugerunt.Huius ignis vestigia usque ad hodiernum diem remanent, nec in eodem loco verba vel quidpiam vivens nascitur.Per duo fere milliaria in longitudine, et per medium in latitudine vulgo dicitur le Cremate.Francesco Can. Lombardi - De Ischia et Civitat. Cap. 77.(72) Dopo varii secoli il Can. della Cattedrale d’Ischia D. Francesco Migliaccio ai principii del passatosecolo così volle descrivere il cremato in un SonettoQuesta cui vedi, o pellegrin, che passi,Desolata campagna e adusta arena,E questa ch’ài sott’occhio ingrata scenaD’arsicce rupi ed abbronziti massi.Que’ sconvolti macigni e neri sassi;E questo suol che non produce avena,Fu del nostro Epomeo già piaggia amena:Or teatro d’orror non più di spassi!Vomito fu d’una romita balzaQuel torrente di fuoco; onde s’ardioD’Ischia il più vago - ecco colà s’innalza,Se pur non fu dello sdegno di DioFuoco divorator ch’ognora incalzaChiunque l’ira sua pone in oblio.38

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