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storia dell'isola d'ischia giuseppe d'ascia - La Rassegna d'Ischia

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cespugli di lentisco e ramerino così fitti ed intrigati, che l’uomo appena potea aprirsi fra essi il varco.L’isola dava ricovero a’ conigli selvatici, i quali tra il vecchio radicato di tanta selvatichezza trovaronosicuro covo.Coloro i quali si vollero mettere all’impresa di dissodare questi terreni, scoverti utili a quell’arboscello,che si accorsero esser confacevole alla natura e qualità di questo suolo, e di quest’aere così temperato,convenne loro prima di ogni altra cosa appiccare il fuoco a quei bronchi, per distruggerli facilmentein breve tempo e senza spese, e così giovarsi ancora di quella cenere, la quale ha virtù di conciare ilterreno: il fuoco riscaldandolo fece sì che le radici, grosse e distese quanto lo poteano essere, senzameno perirono; altrimenti a sbarbar quei ceppi con qualunque altro mezzo sarebbe stata opera lunga,difficile, dispendiosa, e poco profittevole; e non solo sarebbe mancato il beneficio della cenere, sebbenenon sì potendo estirpare tutte le radici quelle stesse sarebbero ripullulate con maggior lena, sconvolto ilsuolo fecondato dall’aria e vivificato dalla luce.Distrutta adunque quella selvatichezza rivolsero quel suolo con vanghe e zapponi, affinché la cenerenon fosse stata dispersa dal vento, e le piogge non l’avessero menato in mare; ma al contrario, l’aria ela luce l’avessero fecondata e disciolta, fintanto che le radici morte, i sterpi ed ogni altro rimasuglio divegetabili ebbero tempo a disfarsi per rendere quel suolo più pingue e fertile.Scorso quasi un anno, che questo venne fatto, quegli agricoltori diligenti esplorarono diversi punti de’futuri vigneti, e videro dove la terra era più fertile e quanto affondava, dal che rilevarono, ove potevanocavar fossi profondi, e lì posero magliuoli ch’erano forti, di gentil buccia e vegnenti; e dove pocoaffondava e trovarono pietre fu mestieri ponessero barbatelli.Per avere un piantonaio di viti, cavarono un fosso profondo al di là di tre palmi e largo due, posero ilcavaticcio sull’orlo al piantonaio di rincontro; in quel solco vi posero magliuoli distanti non più di unmetro coprendoli del terreno che seguitava così che nel coprire quello somigliante solco nascea in cuisimilmente altri magliuoli vi posero e così in seguito.Siffatamente adoprando poco spesato un piccol piantonato costò, contenendo, più centinaia di barbatelli,operazione che quei siculi, da provetti agricoltori, dovettero fare al finir di autunno, affinché imagliuoli avessero poste barbe in meno di un anno.si fermarono per secoli, quivi piantarono le viti, quivi fabbricarono vasi di creta, e partirono pei cataclismi delmonte, quindi ogni congettura contro i fatti accertati dalla <strong>storia</strong>, può esser spesse volte poesia, o romanzo – Inappoggio della opinione di chi detta la presente osservazione critica, si riscontri la <strong>storia</strong> non classica ma elementaredel Pantullo il quale a pag. 87 e 88 dice che “Italia era un paese barbaro ed incolto quando grecia fioriva.<strong>La</strong> Sicilia, che fu la prima a civilizzarsi, i greci la trovarono selvaggia, occupata da polifemi e dai ciclopi chevivevano negli antri”. Dunque gli eubei quando approdarono in Italia non potevano trovar vecchia piantagionedelle viti, mentre essi la introducevano su quel Monte Buceto, ove lo Ziccardi – dopo migliaia di secoli – ha fattoil portento di scoprirne e rintracciare i roverusti.26

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