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Le parole rimaste - Edit

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<strong>Le</strong>tteratura sui giornali, sui periodici e su altre pubblicazioni del dopoguerra<br />

Rievocare attraverso la letteratura sui giornali e sulle riviste quella memoria<br />

significa riassumerne la configurazione tumultuosa e incandescente di vicenda a<br />

tutto campo, fatta soprattutto di sfide e catastrofi, scelte repentine e irredimibili,<br />

contratto e conflitto, adesioni e abbandoni, casualità e dubbi, contraddizioni<br />

personali e fratture biografiche.<br />

Il 28 ottobre 1951 su «La Voce del Popolo», diretta da Erio Franchi, apparve<br />

un articolo del presidente dell’UIIF Giusto Massarotto, scritto su suggerimento<br />

dei “fori superiori”, nel quale furono criticati lo stesso Franchi nella sua qualità<br />

di secondo segretario dell’UIIF ed Eros Sequi nella sua qualità di primo segretario.<br />

Di fronte ai “lusinghieri risultati” ottenuti nel campo della cultura – scrisse<br />

Massarotto – i due responsabili avrebbero svolto un’attività politica incostante<br />

e insufficiente. “La presenza stabile del compagno Eros Sequi” nella struttura<br />

dirigente dell’Unione avrebbe dovuto servire all’eliminazione dei “singoli fenomeni”<br />

negativi, e la stessa cosa valeva “in grande misura” per Franchi, “responsabile<br />

della Commissione per la pubblicazione e la stampa”. Il 4 novembre dello<br />

stesso anno Eros Sequi ed Erio Franchi furono defenestrati dall’Esecutivo e<br />

dal Consiglio dell’UIIF. Furono espulsi anche Giovanni Pellizzer di Rovigno e<br />

Renato Devescovi di Fiume che solo poco più di un mese prima erano entrati<br />

a far parte del Consiglio.<br />

Se è arduo disegnare i tratti della politica culturale ideale, è tuttavia molto più<br />

semplice individuare dei modelli negativi; il rapporto fra economia, politica e<br />

cultura non prevede un equilibrio fra questi tre poli, bensì il predominio di alcuni<br />

di essi sugli altri. La maggiore espressione del comunismo è stato il realismo<br />

socialista, stile formalmente definito e ufficialmente introdotto nell’Unione Sovietica<br />

nel 1934, sotto il regime di Stalin, e poi diffuso e mantenutosi a lungo<br />

nei Paesi satelliti. La dittatura del proletariato rappresenta un efferato esempio<br />

di politica culturale censoria. In teoria, secondo l’ideologia comunista, la rivoluzione<br />

socio-economica, che dovrebbe condurre all’abolizione delle differenze<br />

di classe (ad esempio attraverso la ridistribuzione della terra coltivabile o la<br />

gestione collettiva dei mezzi di produzione industriale), dovrebbe al contempo<br />

generare cambiamenti profondi nelle mentalità e, quindi, nella cultura e nelle<br />

arti. Data la lettura razionalistica e oggettiva che la teoria comunista pretende di<br />

fornire della realtà, la differenza fra cultura e propaganda scompare, in quanto il<br />

fatto che tutte le forme della cultura promuovano la migliore delle società possibili<br />

è considerato un fatto logico e quasi naturale. Perciò il regime comunista<br />

non respinse affatto il concetto di “cultura propagandistica”, anzi, lo abbracciò<br />

con entusiasmo. Il divario fra le utopie progettate dai leader di partito e la realtà<br />

dei fatti era così abissale che l’arte si assunse il compito di nasconderlo o censurarlo,<br />

rappresentando invece un mondo quasi onirico di illusioni irrealizzate. La<br />

produzione culturale, ma soprattutto la sua diffusione (controllata da una ridda<br />

di burocrati senz’anima), erano soggette a un controllo ferreo, che mirava a impedire<br />

la creazione o la divulgazione di qualunque testo contrario all’ideologia<br />

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