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Le parole rimaste - Edit

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Altri orizzonti cingono il mattino<br />

che sopravanza il tuo chiuso pensiero.<br />

Questo ch’ora t’appare è il dì nascente<br />

da una notte di turbini, e la mente<br />

pur tuttavia s’avvolge nel mistero<br />

che guidava nel buio il tuo cammino.<br />

Una voce fuori dal coro: Osvaldo Ramous<br />

Tempra le forze e affronta il luccicore<br />

del nuovo sole. Apparirà più viva<br />

la sembianza del mondo. È forse questa<br />

dura presenza meno a te funesta<br />

di quanto teme l’anima tua, schiva<br />

della realtà che violenta il torpore.<br />

Nell’ultima strofa «la sembianza del mondo (...) violenta il torpore» dell’evasione<br />

fantasiosa propria della prima silloge, ma lo stesso il poeta, e assieme a lui<br />

il lettore chiamato in causa (dacché il messaggio lirico si universalizza), non possono<br />

esimersi dall’accettare «questa dura presenza».<br />

In Vento sullo stagno la deiezione esistenziale non si esaurisce, come il più delle<br />

volte accade nella raccolta precedente, nell’eremitaggio. Adesso il reale fa la sua<br />

comparsa e si fa largo nella concretezza degli argomenti poetici e nell’iniezione<br />

del senso collettivo della vita, che nella terza fase poetica (comprendente le ultime<br />

due sillogi, Realtà dell’assurdo e Pietà delle cose) esploderanno e si espanderanno<br />

in tutte le direzioni 388. E intanto Ramous traccia un filo che lo mette in relazione<br />

sincretica con la realtà e si accomuna agli altri uomini: lui come tutti gli altri<br />

è Qui come da per tutto:<br />

Qui, come da per tutto,<br />

ci sono pietre e terra<br />

ed erba e cielo e nuvole,<br />

e ci sono anche gli uomini.<br />

L’acqua non si dà pace<br />

e il giorno insegue la notte.<br />

Anche l’aria qui geme,<br />

strappa, accarezza,<br />

come da per tutto,<br />

e gli uomini che la respirano<br />

parlano, imprecano e cantano<br />

388 Nella lirica Senza che tu risponda della silloge Realtà dell’assurdo Ramous dirà: «troppe fi gure vagano<br />

in questo buio, / troppe voci riaffi orano da questo silenzio / per poter dirci soli».<br />

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