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Le parole rimaste - Edit

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Capitolo IV | Dall’era del socialismo reale<br />

me la capacità del presente di prevalere sulle ambizioni tese all’effettivo recupero<br />

del passato è dal punto di vista pragmatico ineluttabilmente destinata a trionfare<br />

(pertanto a qualsiasi inseguimento di un concreto conforto non può che essere<br />

riservato il fallimento), Schiavato delega alla poesia il compito di recuperare la<br />

fanciullesca facoltà di evadere – seppur per un solo fittizio istante – dall’attanagliante<br />

potere del tempo 655. Così lo scontro fra la volontà di riscattare il passato<br />

e l’attualità che impedisce qualsiasi reale affrancamento dalle leggi regolatrici la<br />

società industro-informatizzata diventa, nella poetica di Schiavato, uno scontro<br />

fra civiltà che conduce inevitabilmente alle insistenti e inconciliabili opposizioni<br />

tra l’antichità e la modernità, tra la campagna e la città, tra la fatica e l’apatia,<br />

tra la redenzione e la dannazione, tra l’innocenza e la colpa, ecc. Dette opposizioni<br />

(i cui primi termini sono portatori di indiscutibili risorse positive mentre<br />

i secondi rappresentano la loro sintomatologica strozzatura) somatizzano e improntano<br />

di sé buona parte del filone istriano.<br />

Nelle poesie scritte in prevalenza negli anni Novanta e incorporate nella silloge<br />

La voracità del tempo, l’opposizione più insistente, quasi assillante e di non<br />

indifferente investimento emozionale, è tra l’infanzia (o la giovinezza) e la vecchiaia.<br />

Prende chiara consistenza pure la desolata coscienza dell’autore di sentirsi<br />

“esule in casa propria” 656 poiché «Volti estranei hanno rubato / i dolci nomi<br />

delle nostre strade / che ora s’aprono tetre / ai venti freddi di tramontana» 657.<br />

Questa amara consapevolezza, rinvenibile tra l’altro in molti altri autori della<br />

letteratura italiana dell’Istria e di Fiume, la si può vagamente intuire anche in<br />

non pochi lavori scritti da Schiavato prima della silloge La voracità del tempo, ed<br />

è senza difficoltà riconoscibile nei seguenti versi: «trasudano le calli / che ieri si<br />

spalancavano al sole / ed oggi trasaliscono / per sconosciuti accenti» 658. Ciononostante<br />

mai era accaduto, prima della lirica intitolata Nel crepuscolo, che l’autore<br />

rendesse appieno riconoscibile tutta la sua indignazione e tutto il suo risentimento<br />

nei confronti di quanti sono, al cospetto della storia, da considerarsi responsabili<br />

delle offese inflitte ad un corpo etnico che a suo tempo era già stato,<br />

con l’esodo, duramente provato dall’amputazione del proprio tessuto sociale, e<br />

il quale è stato domato, una volta divenuto minoranza, con l’”inganno” 659:<br />

655 Nella lirica Non riesco più a riconoscermi dice: «Non riesco più a riconoscermi / nella formula del<br />

tempo: / evado per onde limpide, / per balze selvagge / sotto cieli senza nuvole».<br />

656 Dalla lirica Un soffi o.<br />

657 Dalla lirica Non c’è più.<br />

658 Dalla lirica Miasmi di cadaveri, appartenente alla silloge Poesie istriane.<br />

659 L’inganno cui Schiavato fa riferimento è riconducibile all’ideale – sapientemente storpiato e usato<br />

come specchietto per le allodole – dell’internazionalismo operaio. Nella Jugoslavia si proclamavano<br />

l’unità e la fratellanza dei popoli e delle minoranze facenti parte dello Stato, e l’internazionalismo<br />

operaio.

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