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Le parole rimaste - Edit

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Mario Schiavato<br />

soddisfazione e nella conseguente decisione di dire ciò che fino alla silloge La<br />

voracità del tempo sapeva che non doveva apertamente confessare poiché, facendolo,<br />

avrebbe rischiato di provocare in sé una catarsi liberatoria di tali dimensioni<br />

da intaccate, paradossalmente, nientemeno che le fondamenta di quanto nella<br />

sua lirica andava proferendo: cioè da un lato la propria recondita ostinazione a<br />

conservare integro – benché solo in forma rievocativa – l’antico mondo agreste<br />

istriano, e dall’altro lato la propria insanabile perseveranza a estendere e a mantenere<br />

vitali i trasporti emotivi infantili sperimentati in quella immacolata remota<br />

civiltà. <strong>Le</strong> cause di tanta rovina, in conclusione, stanno nella brusca scelta del<br />

poeta di scoprirsi integralmente. Però questo ‘scoprirsi’, questa catarsi, anziché<br />

produrre una platonica purificazione dell’anima dai mali interiori, oppure un<br />

aristotelico, liberatorio distacco dalle passioni rappresentate nell’opera letteraria<br />

ha, al contrario, rafforzato nell’autore i mali e ha comparativamente accorciato<br />

le distanze dalle passioni che, tra l’altro, rinunciano (a tutto danno dell’imprinting<br />

poetico) ai rituali magico-fiabeschi ancora attuali nella silloge La voracità del tempo;<br />

è questo il caso della lirica Draga di Laurana in cui il poeta scrive:<br />

Mi sorprendo a cantare<br />

per la musica che ho ritrovato<br />

sulla riva del breve torrente.<br />

E sguazzo con i girini<br />

nelle polle d’alabastro.<br />

In sostanza, fino a quando Schiavato continuava a sorvegliare il proprio passo<br />

(anche se in equilibrio precario) lungo il bordo dell’infantile illusione, la sua<br />

poesia manteneva un’autentica forza catartica. Ma quest’ultima purtroppo ha<br />

smesso di prodigare gli effetti positivi e solari non appena l’autore ha voluto con<br />

Indefiniti smarrimenti, andare a vedere cosa c’era nello spaventoso baratro sottostante<br />

quel bordo. Quest’operazione indagatrice è costata a Schiavato e alla sua<br />

arte poetica nientemeno che l’annullamento dell’illusione infantile/letteraria di<br />

«appartenere / ad un mondo splendido» 674, ed il primo effetto di tale annullamento<br />

è riscontrabile nella scomparsa dell’opposizione (che fino alla Voracità<br />

rappresentava un importante investimento emozionale) tra l’infanzia o la giovinezza<br />

e la vecchiaia. Ora la vecchiaia prende il sopravvento sulla poesia, alla<br />

lettera, perché essa non governa più solamente lo stato fisico bensì altera pure<br />

il sostrato psicologico dell’autore:<br />

674 Dalla lirica Percepii fanciullo.<br />

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