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Le parole rimaste - Edit

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Vlado Benussi<br />

mai ningaûn tenpo / pudaruò pagà» 1070. L’idioma natio è in grado di riportare<br />

alla memoria anche il mito dell’infanzia, nucleo magico dell’esistenza, il tempo<br />

in cui «i ∫ioghi e li ure curiva / senpro masa ∫vièlti / tra li vu∫e, / li baroûfe: nusènti<br />

foghi da paia / par oûna ciàciara schibàda / o un tapo da pasarìta tanà…<br />

». 1071, da ∫iòghi da fiòi (1998). L’infanzia è tempo di natura, che sta in opposizione<br />

alla vita che matura, al tempo che monta, agli stessi obblighi sociali.<br />

Nella silloge Susòni da pansèri [Rimasugli di pensieri] del 2005, Benussi filtra<br />

ancora una volta il mondo che lo circonda – uomini, affetti ed esperienze – in<br />

una lirica che è schietta ed intima autobiografia e dà conferma delle potenzialità<br />

espressive del dialetto contenente schegge di cultura materiale e di corporalità.<br />

Nella raccolta si avverte il proprium della poesia di Benussi: la storia personale, la<br />

città natia e i termini dell’avventura esistenziale, il contatto con il mondo vivente<br />

delle proprie origini, il rapporto sensuoso e non cerebrale con le cose, la disposizione<br />

franca e risoluta al rapporto con il mondo circostante, la concretezza<br />

e la pregnanza immaginativa, il ricordo che non è rimpianto ma commisurazione<br />

con il presente, la diade personale/storico o, se si vuole, privato/sociale,<br />

il duro grumo di polemica e di condanna dei peccati umani consegnato ai versi<br />

di liriche come Oûn rièfulo, la veîta [Un refolo la vita]. O in Batàna carulàda [Batana<br />

tarlata], ove le immagini poetiche si propongono come immagini-simbolo,<br />

allusive della condizione esistenziale e significative di una liricità robusta e di un<br />

pessimismo virile. Il nativo, il territoriale diventano stimoli per una riflessione<br />

colma di tristezza che si fa portatrice di un solipsismo amaro ed esistenziale, di<br />

un lirismo vibrante e terragno, in sintonia e in sinergia profonda con i ritmi persuasivi,<br />

si direbbe rallentanti e calmanti, della natura capace di fabulosa incantagione.<br />

Benussi non si limita a riprodurre l'immagine del paesaggio, ma riesce<br />

a tradurne lo spirito. Rovigno, con la sua natura, è il luogo che l'autore percepisce<br />

come intimamente suo e nel quale egli si sente effettivamente protagonista,<br />

attore in un teatro meraviglioso dove si sommano memoria, immaginazione e<br />

vita vissuta. È anche un rifugio nei confronti di un universo fabbricatore d'infiniti<br />

oggetti tutti uguali.<br />

L'immersione in questo paesaggio è occasione per riappropriarsi di un vincolo<br />

originario, carico di miti e simboli, ricercato nella solitudine e nel silenzio.<br />

La natura appare allora, agli occhi dell’autore, come un tempio privato e personale<br />

dove raccogliersi. È questo un sentimento che accomuna i poeti rovignesi,<br />

che hanno colto e cantato nei versi l’aura che spira dalla natura e dal paesaggio<br />

che li circonda, un’eco sensibile e spirituale. Anche Benussi è preciso e vera-<br />

1070 «Maledetta premura / di essere corretto con gli altri / e con te spesso in debito / che mai alcun<br />

tempo potrà pagare».<br />

1071 «i giochi e le ore correvano / sempre troppo veloci / tra le voci, / le baruffe: innocenti fuochi di<br />

paglia / per una biglia scheggiata / o un tappo di aranciata preso al volo…».<br />

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