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Le parole rimaste - Edit

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552<br />

Capitolo VI | Dire in dialetto<br />

cu ‘l Sul fa la Capa Santa,<br />

par fa nassi ‘l frà in cuntéinuo<br />

vier l’omo de la viecia crusu,<br />

vier li sparanse del turmento nuo,<br />

ultra ‘l fóumo da palassi e póulpiti<br />

e contro ‘l vento ca ta puorta in alto 939.<br />

Il “canto stonato” è «l’urlo disperato del gabbiano», in distinto e ideologico<br />

contrasto all’omologato e orchestrato canto (in gabbia) degli uomini-canarini.<br />

Che è un canto dalle inflessioni e dalle tonalità sonore sincrone, ma il quale nello<br />

stesso tempo risulta esso stesso stonato alla sensibilità del poeta, perché mette<br />

sugli altari e santifica le «bies-ce nigare», accordando conseguentemente il benestare<br />

al Potere 940. Ma c’è pure un canto ieratico, «che va per se stesso e andrà<br />

per l’eternità (...) sulle bestie bianche e su quelle nere». Un canto che «porta le<br />

voci e i lamenti dell’uomo della vecchia croce [Cristo], dell’uomo del tormento<br />

nuovo [S. Francesco], per sempre, oltre Orione [Oriente]». Tre tipi diversi di<br />

canto: quello del poeta, ch’è visto e sentenziato come non intonato, in quanto<br />

non è in sintonia con il coro dei “canarini”, ma è autosufficiente e armonico con<br />

e per se stesso; quello dei “canarini”, che sembra armonico perché è in sintonia<br />

con il coro e con chi fa le veci dell’orchestrante, ma in verità non è intonato<br />

giacché gli manca l’autonomia di opinione e legittima il Potere; e quello eterno,<br />

di cui Zanini è partecipe ed in cui finalmente “l’esperienza personale del poeta<br />

è una cosa sola con quella dell’uomo in generale, del «povero cristo» portatore<br />

eterno della propria croce” 941.<br />

939 Intul canto da senpro [Nel canto di sempre]: «Cetre strampalate appese alle fronde dei salici / a<br />

causa delle bestie nere, / canarini stonati che benedicono i santi, / marci per troppe benedizioni…//<br />

e c’è un canto da sempre, / uno che va per se stesso / e andrà per l’eternità con le nubi,<br />

/ per le rocce e fra i pesci: / sulle bestie bianche e su quelle nere. // Ab aeterno avvolge tutto<br />

/ e porta le voci e i lamenti / dell’uomo della vecchia croce, / dell’uomo del tormento nuovo /<br />

per sempre, oltre Orione. // E soltanto con te, gabbiano Filippo, / mi trovo in questo canto di<br />

sempre, / nella grande ruota dei gabbiani / quando il Sole fa la Conchiglia di San Giacomo / per<br />

far nascere continuamente il fratello / verso l’uomo della vecchia croce, / verso le speranze del<br />

tormento nuovo, / oltre il fumo di palazzi e pulpiti / e contro il vento che ti porta in alto».<br />

940 I ‘santi’ della prima strofa non sono da mettere in relazione con la religione e con la Chiesa ma<br />

rappresentano gli uomini potenti, le «bies-ce nigare», i detentori del Potere, grazie alla loro avvenuta<br />

‘santifi cazione’ da parte degli uomini-canarini o del popolo-pecorone. Allora è «meglio lo<br />

strido di fame / del gabbiano sulla / Femmina Morta, / che il canto da leccapiedi / del canarino<br />

che benedice / i santi, marci per troppe benedizioni» (dalla lirica Sango da gato dumistico [Sangue<br />

di gatto domestico] della silloge Conversando con il gabbiano Filippo: «meo ‘l séigo da fan / del cucal<br />

su la / Fimana Muorta / ch’el canto da licapéie / del canaréin ch’inbinidéisso / i santi, marsi par<br />

massa binidissioni»). La Fimana Muorta [Femmina Morta] è un’insenatura all’imboccatura del<br />

canale di <strong>Le</strong>me.<br />

941 BRUNO MAIER, Ligio Zanini... cit., p. 9.

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