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Le parole rimaste - Edit

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I lèvari i sa strenzo<br />

zuta ‘l suco,<br />

i saniciàri i sa strenzo<br />

zuta ‘l cupo<br />

e i bascarami i sirca<br />

li aque fonde.<br />

Paroni de la tiera<br />

a xi lóupi e suvite,<br />

paroni del mar<br />

a xi gronghi e caramai,<br />

fente l’alba 965.<br />

Ligio Zanini<br />

È la lirica della ‘chiaroveggenza’ inaspettata che rovescia l’apparente formula<br />

naturalistica e denotativa dell’immaginazione poetica nell’allegorica certezza<br />

letteraria – che per il poeta è storica – del superamento della società divisa in<br />

classi (in lupi e civette da una parte e lepri e passeri dall’altra, in gronghi e calamari<br />

da una parte e pesciolini dall’altra). Certezza che deriva dalla convinzione<br />

dell’avvento di una civiltà di eguali, di una società retta e diretta dai non potenti<br />

(i più) che diventeranno potenti prendendo per sé il potere 966, assolvendo e trasformando<br />

la notte.<br />

965 Orione. «Tutta la notte / Orione frusta / mare e terra con il gelo. / <strong>Le</strong> lepri si stringono / sotto il<br />

ceppo, / i passeri si stringono / sotto il coppo / e i pesciolini cercano / le acque profonde. / Padroni<br />

della terra / sono lupi e civette, / padroni del mare / sono gronghi e calamari, / fi no l’alba».<br />

966 Ricordiamoci che già nella lirica Il mio attrezzo per catturare i paguri Zanini aveva detto nei vv. 20-23:<br />

«sulla bara il fratello, / divenuto forte, / mi raddrizzerà di nuovo».<br />

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